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È ancora il tempo delle parole?

Ottobre 27
09:44 2011

La politica è l’espressione della parola, la proposizione di progetti, idee e di stato sociale. Il seguito della parola non può essere che la realizzazione di quanto espresso. Viviamo da anni un dialogo politico che trova spazio solo nello scontro, o nel gettare fango verso il nemico, non più l’avversario politico. Certo vi sono dei distinguo, non ho mai creduto nell’appiattimento dei comportamenti, ma assistiamo giornalmente ad un coinvolgimento della dialettica che termina in una sterilità sociale.
Sono trascorse molte lune prima che voci autorevoli chiarissero il concetto di Italia e l’astrattismo di Padania. Dalla presa di posizione (seppur tardiva di qualche decennio) del presidente Napolitano e dei presidenti di Parlamento e Senato, al silenzio governativo, mantenendo nella nebbia un’idea secessionistica. Calderoli parla di autodeterminazione dei popoli, chiaramente gli è poco nota la parola “popolo”. Altri, parlamentari e ministri, parlano del voto sovrano dei cittadini. Un’idea che riporta a stati regionali, o comunali; e perché no condomini indipendenti con libero voto?
I politici continuano ad intrattenerci con continui talk show, fondando, ogni singolo parlamentare, movimenti, aggregazioni o partitini in grado di garantirsi una presentazione futura di candidatura nella nuova legislatura. Praticamente tutti pensano a tenere la poltrona il più a lungo, preparando una nuova investitura nella legislatura che seguirà.
E le problematiche della nazione? Il perdurare della crisi economica? Lo scollamento cittadini-politica? La perdita del lavoro “arricchita” dall’alto tasso di disoccupazione giovanile? Il perdurare delle differenze sociali e del mondo del lavoro tra uomo e donna? Realtà di cui la politica non si fa carico: ne discute, ne parla, organizza dibattiti e promette che presto verranno regolati problemi e riforme sociali. Quali? Questo stato di incertezza, di scollamento tra rappresentanti e cittadini, risulta essere il cardine del costituirsi di movimenti spontanei sociali, a loro volta facile preda di un manipolo di organizzazioni atte allo scontro sociale. Tutto si scontra con l’ottusità sorda di una classe politica anziana, ancorata allo scranno dei privilegi e delle ambiguità di appartenenza partitica.
Berlusconi propone un nuovo cambio di nome della sua organizzazione politica: «Io al Pdl sono attaccatissimo, ma per il 2013 dovremo cambiare nome al partito perché l’attuale acronimo non emoziona». Da Forza Italia all’aggregazione della Casa delle Libertà, per arrivare al Popolo delle Libertà. Nel futuro di sicuro c’è la parola Libertà, interessante sarebbe capirne il senso. Un’operazione di restart, in pratica un nuovo prodotto commerciale da lanciare sul mercato politico. Un nuovo nome richiede un nuovo lancio, dice il premier: «Stiamo lavorando per vedere di cambiare il panorama delle trasmissioni televisive, alcune sono allucinanti», purtroppo ancora non possiede il controllo totale dei media, occorre far tacere chi contraddice.
Il perdurare della crisi impone agli stati di ripianare i debiti e strutturare uno stato sociale in grado di mantenersi. È chiaro che ogni nazione trova il suo indirizzo, chi e cosa deve contribuire. Importante è che la chiusura annuale sia in parità di bilancio. Da agosto ad oggi abbiamo assistito ad una varietà di buoni propositi, dalla riduzione dei parlamentari e dei privilegi di casta all’abolizione delle province e al mancato accorpamento dei Comuni. Dalla lotta all’evasione, alla velata idea (ritenuta non scandalosa e quindi applicabile) di condoni fiscali. Molte le parole dette e scritte, comprese le ultime indirizzate alla comunità europea. Tra queste si evidenzia un’ulteriore riforma del lavoro con licenziamenti per motivi economici, che si aggiunge a quanto definito dall’articolo 8 della finanziaria. Viene da chiedersi: per “motivo economico” s’intendono le difficoltà societarie o anche la possibilità di svolgere lo stesso lavoro pagando meno personale non specializzato e licenziando invece il personale specializzato, economicamente svantaggioso? Non si accenna a riduzione di mega stipendi manageriali o riduzioni di dividendi. Di patrimoniale neanche a parlarne, ci mancherebbe che i ricchi o i patrimoni societari utilizzati a scopo privato, debbano contribuire all’economia del paese. Per pagare ci sono sempre i soliti noti e lo stillicidio di contatto sociale della guerra dello scontrino.
Il guerrigliero indomito Bossi, che si batte contro lo Stato padrone e che fa un vanto di denunciare gli sprechi dello Stato assistenzialista, ha dimenticato di chiarire la posizione della moglie baby pensionata (ad oggi ha già riscosso 5 mensilità più dei contributi versati), stesso discorso per la moglie di Tremonti (versato contributi per 181 mesi e al momento ha già riscosso 300 ratei di pensione, 119 mesi più di quanto versato). Non sono uniche, la compagnia è di molti parlamentari. Le pensioni sono sicuramente una giungla, ma quello che in molti non sappiamo (sino alle discussioni dei giorni nostri) è che il grande e produttivo nord vanta oltre 250 mila baby pensioni, dove la Lombardia da sola con oltre centomila guida la speciale classifica.

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