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ENERGIA PULITA E ACCESSIBILE

ENERGIA PULITA E ACCESSIBILE
Aprile 26
17:49 2021

L’accesso all’energia è un presupposto imprescindibile per la realizzazione di molti obiettivi di sviluppo sostenibile che esulano dal settore energetico, come l’eliminazione della povertà, l’incremento della produzione di derrate alimentari, l’accesso ad acqua pulita, il miglioramento della salute pubblica, l’ampliamento della formazione, l’incentivazione dell’economia e la promozione del ruolo delle donne nella società attuale. Ad oggi 1,6 miliardi di persone nel mondo non hanno accesso all’elettricità e 2,5 miliardi di persone dipendono dalla biomassa tradizionale come fonte di energia.

L’Obiettivo 7 dell’Agenda 2030 sostiene pertanto l’accesso di tutti a servizi di approvvigionamento energetico affidabili, moderni ed economicamente accessibili. Dal momento che uno sviluppo sostenibile si fonda su presupposti di sviluppo economico rispettosi dell’ambiente, la quota di energie rinnovabili nel mix energetico globale dovrà essere nettamente aumentata e il tasso di incremento dell’efficienza energetica a livello mondiale dovrà essere raddoppiato. Ma come?

La fusione nucleare è un treno da non perdere, continua a ripetere il Ministro Roberto Cingolani, ma la strada verso la fusione nucleare, nonostante i numerosi progetti in corso, sembra ancora molto lunga.  Quanto, ad oggi, sia realistica questa opzione non si sa. Ci sono ancora problemi ingegneristici apparentemente insormontabili, uno tra tutti le temperature che caratterizzano il processo, si parla di milioni di gradi centigradi.  Lo sfruttamento dell’energia di fusione per l’elettricità su scala industriale richiede il confinamento del plasma a temperature “sufficientemente calde” per un periodo di tempo “sufficientemente lungo” da consentire le reazioni di fusione.

Come presentato in diversi Seminari rivolti alla Comunità di Velletri, “La fusione termonucleare è una reazione in cui due nuclei leggeri si combinano in uno più pesante, liberando energia. Il processo è responsabile della produzione di energia nelle stelle, e si punta a realizzarlo anche sulla Terra in maniera controllata per produrre energia elettrica. Le reazioni di fusione più semplici e convenienti coinvolgono nuclei dell’atomo di idrogeno, in particolare quelli più pesanti (i cosiddetti isotopi) deuterio e trizio: il primo esiste già in natura ed è disponibile in quantità praticamente illimitate, mentre il secondo è prodotto a partire dal litio, un elemento diffuso sulla Terra e facilmente reperibile”. 

“La fusione nucleare è una fata morgana che continua ad allontanarsi nel tempo”, ha dichiarato Gianni Silvestrini, direttore scientifico di Kyoto Club e della rivista QualEnergia. “Potremmo citare la battuta ci vogliono altri 30 anni, che si sente ripetere a partire dagli anni Settanta del secolo scorso”. L’Italia, ricorda inoltre Silvestrini, ha preso l’impegno di diventare carbon neutral entro il 2050, e dunque il percorso più logico è quello di investire capitali verso risorse tecnologiche che possano “accelerare il processo di decarbonizzazione nel breve e medio termine, come le rinnovabili, la mobilità elettrica, i sistemi di accumulo, gli elettrolizzatori per produrre idrogeno dall’acqua”.

Ma la costruzione di questi dispositivi richiederà enormi quantità di risorse non rinnovabili. Nel libro “Energia verde? Prepariamoci a scavare – I costi ambiantali e sociali delle energie rinnovabili” l’autore Giovanni Brusatti, ingegnere minerario, cita che per sostenere la richiesta di risorse non rinnovabili, la World Bank stima che nei prossimi 25 anni sarà necessario estrarre 3,5 miliardi  di tonnellate di metalli, una quantità colossale: estrarremo più rame nel prossimo quarto di secolo che in 5000 anni di storia dell’umanità. La carenza di efficaci tecnologie per il riciclo dei materiali provenienti dall’obsolescenza dei dispositivi comporterà inoltre la produzione di enormi quantità di rifiuti.

L’autore analizza gli impatti di simili obbiettivi su più livelli. Dal punto di vista estrattivo realizza un percorso attraverso il Pianeta per descrivere gli impatti ambientali e sociali dell’industria mineraria, dai boschi dell’Alaska alla foresta andina ecuadoregna, dal deserto di Atacama all’isola di Sulawesi, fino a prendere in considerazione l’intenzione, già avanzata da più parti, di sfruttamento minerario dei fondali oceanici. Descrive quindi le principali conseguenze legate all’attività estrattiva: dal drenaggio acido, che contamina le risorse idriche, alle diverse conseguenze dell’estrattivismo sulle popolazioni locali.

Ma in particolare la verità scomoda è che la maggior parte dei metalli viene e verrà consumata dai cittadini di una manciata di nazioni ricche, mentre le conseguenze ambientali, sociali e culturali, ricadono e sempre più ricadranno sulle popolazioni delle nazioni povere da cui vengono estratti.

Completano l’analisi considerazioni di carattere geopolitico, che evidenziano come queste materie prime critiche, fondamentali per centrare gli obbiettivi degli Accordi di Parigi sui cambiamenti climatici, comportino una dipendenza nelle forniture da Paesi in diretta competizione per i medesimi obiettivi, come la Cina, evidenziando come la dipendenza attuale dai combustibili fossili verrà sostituita da una dipendenza dalle materie prime. Il tema delle “terre rare“, come sono comunemente citati i minerali fondamentali nella produzione di molta della tecnologia che usiamo quotidianamente, inclusi i componenti per veicoli ibridi, in passato è stato trattato diffusamente da Velletri 2030.

Rosa Filippinni, fondatrice e presidente di Amici della Terra e attuale direttrice del giornale l’Astrolabio, spiega nella prefazione che i problemi si presentano con sempre maggiore complessità, e le soluzioni non sono a portata di mano, ammesso che lo siano mai state. Oggi più che mai i problemi non si esauriscono nella messa a punto di singole tecnologie, ma devono trovare soluzioni per l’applicazione di queste ai cicli di produzione e consumo, per la loro compatibilità con i sistemi economici e con i mercati. Da qui l’accettabilità sociale delle nuove produzioni. Ogni aspetto dovrebbe essere valutato in relazione alle alternative, per essere certi di progredire nel cammino verso la sostenibilità dello sviluppo, e prima ancora, nel cammino della civiltà, e non di tornare indietro.

In conclusione, non esistono soluzioni semplici al problema dell’approvvigionamento energetico. Non esiste una verità assoluta. Non c’è una risposta univoca. La migliore soluzione è l’educazione all’utilizzo intelligente dell’energia. L’energia è alla base di ogni attività umana, sia essa sviluppata attraverso il ciclo metabolico, sia attraverso la combustione di combustibili fossili, sia attraverso reazione nucleari. Bisognerebbe insegnare a riflettere su tutto il ciclo che sta alla base dell’accensione di una semplice lampadina: dalla costruzione di modelli tridimensionali dei presunti giacimenti di combustibili fossili, che permettono di calcolarne il volume e che serviranno poi per decidere il numero e l’ubicazione ottimali dei pozzi di esplorazione, alla trasmissione dell’energia elettrica e alla sua distribuzione, fino alla lampadina finale.

E non parliamo di Idrogeno, perchè esso non è una fonte energetica ma semplicemente un vettore energetico che va prodotto consumando energia prodotta da fonti energetiche primarie.

Buona riflessione.

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