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Etica laica e autodeterminazione, tra diritti negati e libertà affermate

Etica laica e autodeterminazione, tra diritti negati e libertà affermate
Gennaio 27
00:22 2016

Mi chiedo se è utile o quantomeno giusto contrapporre l’etica laica a quella cattolica o generalmente religiosa, così come si è impostato il dibattito in Italia sui diritti civili. Sembra quasi che da una parte vi sia una forma di determinismo che sposta l’asticella sempre più avanti nella rivendicazione del “si deve poter essere e si deve poter fare” e dall’altra vi sia una concezione chiara e altrettanto incorruttibile sull’essere umano e le sue libertà, sostenuta dai principi evangelici e da un substrato culturale che si è sedimentato nelle nostre coscienze. La dialettica, così come è impostata in questo paese non porta a niente di buono. La discussione sui temi etici è ancorata alla contrapposizione classica tra nemici della libertà individuale contro i fautori del diritto alla conquista di spazi di autonomia delle realtà terrene. Fuori dal laicismo o dall’integralismo religioso, ci sono luoghi di dibattito, meno polarizzati, che devono essere necessariamente frequentati per risolvere questioni di grande rilievo ma all’interno di una prospettiva alta, sull’uomo e sulla sua convivenza. In Italia, l’anomalia culturale non risiede solo nell’essere congiunti ad una cultura cattolica ma, da una parte, ad una particolare dimensione della cultura liberale, non propriamente riconoscibile nell’idea di uno stato neutro e dall’altra nella matrice socio marxista che è sempre accostabile a quel cattocomunismo che ha occupato uno spazio a dir poco larghissimo negli strati della società italiana. Tutto ciò ha aggiunto fraintendimenti e distorsioni del pensiero laico e non laicista che hanno minato il determinante sviluppo di un’etica esclusivamente laica. È chiaro a tutti che il Concilio Vaticano II ha gettato un ponte tra cattolicesimo e laicità ma ha anche lasciato sul campo zone di ambiguità entro cui si sono persi i giusti confini. Ecco il problema, non solo dell’autonomia dell’etica civile e moderna ma della sua inconsistenza dal punto di vista dell’affermazione in piena autonomia, non solo rispetto all’etica religiosa ma rispetto a se stessa e alla visione dell’uomo, individuata all’interno del suo orizzonte antropologico e veramente fuori dalla prospettiva metafisica. La questione di un impianto etico riconoscibile è essenziale e dirimente, altrimenti si riduce ad una sostanza surrogata e senza futuro. Ma cosa concorre alla formazione dello status deontologico del giusto e dell’ingiusto, due categorie che si potrebbero definire un’astrazione e che stabilite, governano le nostre azioni, i nostri comportamenti. Ciò necessiterebbe di un approfondimento ben più ampio, che lo spazio dedicato ad un articolo non consente, tuttavia schematizzando brevemente si possono individuare nello sviluppo della coscienza e della sensibilità collettiva; nel diritto e nelle ideologie; nella psicologia e nella filosofia alcune fonti che concorrono alla formazione di un’etica moderna, ma a quanto pare la debolezza del pensiero di questa civiltà non riesce a sostenere un impianto culturale ed etico certo della sua ragione. Se ci si riferisce esclusivamente a quel circolo vizioso composto da tecnica ed economia, che informa sostanzialmente l’etica laica, ecco il precipitare nel baratro della perdita di orientamento, nella inconsistenza teleologica della nostra umanità. La questione della libertà individuale diventa un moloch senza argini, il diritto a poter scegliere qualsiasi opzione di vita e solo per il bisogno di sperimentare ogni possibilità, ci sprofonda nel buio della paura. I genitori oltre all’affetto e all’amore, per dare sicurezza ai propri figli dovrebbero costruire dei confini entro cui fargli sperimentare il mondo, conoscerlo, farli sentire certi della loro presenza attraverso il controllo delle pulsioni disordinate, un ordine che crea certezze. L’autorità ha un valore per la crescita psicologica e della personalità e ciò rappresenta le coordinate che costituiscono un individuo. Sappiamo che un padre assente o una madre attratta solo da se stessa creano ferite difficilmente rimarginabili e non vi è possibilità di guarigione se non nel percorso inverso della consapevolezza. Ci hanno sempre spiegato che l’identità di una persona si determina attraverso l’acquisizione della propria sessualità attraverso il riconoscimento della figura maschile del padre e di quella femminile della madre. Le cose si complicano con i complessi di Edipo o di Elettra, la castrazione e la censura del Sé, ma allora qual è l’universo entro cui si misura il nostro essere al mondo, a cosa e a chi dovremmo rivolgerci? Queste esemplificazioni contengono la nostra natura? E quando si parla di utero in affitto o coppie omosessuali che desiderano avere dei figli e allevarli secondo un codice estraneo a ciò che si è sostenuto fino ad ora, cosa dovremmo pensare? C’è un limite entro cui sappiamo muoverci con consapevolezza? Le domande rimangono tutte nel campo di un’etica laica che stenta ad affermarsi incondizionatamente e le stesse non si esauriranno mai dentro il concetto della libera espressione individuale. No, scegliere il destino di altre persone solo per il desiderio di non essere esclusi dalla realizzazione di alcun bisogno individuale non è un passo in avanti. È un principio che contiene un’eco inquietante. La gioia di una madre che non ha condiviso la propria maternità con un padre riconoscibile per suo figlio, è un atto di egoismo o un atto di libertà?

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