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Etiopia: già ferma per frana la centrale idroelettrica finanziata dal Governo italiano

Febbraio 26
16:36 2010

E’ già bloccato per un crollo a sole due settimane dall’inaugurazione il mega-impianto della centrale idroelettrica etiope Gibe II finanziato dal Governo italiano con 220 milioni di euro di “prestito agevolato”.Ne ha dato notizia il 3 febbraio sera, l’inviato del TG3, Riccardo Chartroux, che è andato sul posto a documentare una notizia imbarazzante per il Governo italiano e che nessun organo di stampa nazionale ha riportato: medesimo black-out di notizie anche sulla stampa etiope che aveva dato amplissimo risalto alla notizia dell’inaugurazione della centrale idroelettrica.

Il 25 gennaio scorso – riporta l’inviato del TG3 – 6mila metricubi di terra e sassi sono crollati sulla galleria della diga bloccandola e causando un inevitabile black-out. Solo due settimane prima il Ministro degli Esteri, Franco Frattini, si era recato sul posto per l’inaugurazione del progetto fortemente contestato dalla campagna CRBM e dalla coalizione europea ‘Counter Balance’. “La superficialità con la quale vengono messe in piedi queste opere – commenta Caterina Amicucci della CRBM – senza reali studi, è molto pericolosa. Oggi si tratta del crollo di un tunnel ma la Salini sta costruendo, 150 chilometri più a valle, la diga di Gilgel Gibe III. Un progetto dagli impatti ambientali e sociali enormi: la diga sarà alta 240 metri ed avrà un invaso di 11 miliardi di metri cubi, un cedimento di una struttura del genere potrebbe causare un disastro di proporzioni apocalittiche”. Proprio la costruzione della nuova diga Gibe III sta diventando terreno di una nuova guerra per l’acqua e per la pesca: nei giorni scorsi sei kenyani sono stati uccisi ed oltre 2000 abitanti del villaggio di Todonyang sono strati costretti ad abbandonare le loro case in seguito all’attacco della milizia etiopica Merrile. In quattro città del Kenya ci sono state manifestazioni contro la controversa costruzione della diga Gibe III che minaccia la sopravvivenza di centinaia di migliaia di indigeni nella bassa Valle dell’Omo, in Etiopia, e attorno al Lago Turkana in Kenya – riporta Survival International: l’associazione Amici del Lago Turkana ha promosso manifestazioni simultanee, ma a Nairobi ha dovuto organizzare una semplice conferenza stampa a causa del divieto di tenere manifestazioni pubbliche nella capitale. La campagna CRBM aveva denunciato già da tempo le “irregolarità che hanno caratterizzato l’assegnazione dei fondi, il ritardo di due anni dovuto a studi preliminari inadeguati o assenti e un’inchiesta della magistratura prematuramente archiviata” riguardo all’impianto idroelettrico Gibe II. “Solite storie all’italiana – commentava Caterina Amicucci della CRBM – nelle quali i soldi pubblici sono utilizzati per sostenere gli affari delle nostre imprese all’estero, mascherati da progetti di aiuto allo sviluppo”. L’attivista della campagna CRBM richiamava l’accordo tra l’esecutivo etiope e l’impresa di costruzione italiana Salini Costruttori S.p.a. firmato tramite trattativa diretta, in assenza di gara d’appalto internazionale, come invece prevedevano le procedure del ministero delle Finanze e dello Sviluppo Economico locale. “I lavori di costruzione dell’impianto sono iniziati in assenza di uno studio di fattibilità, di adeguate indagini geologiche e del permesso ambientale dell’Environmental Protection Authority, necessario, in Etiopia, per l’avvio dei lavori di qualsiasi opera infrastrutturale. Il permesso è arrivato solo successivamente e in maniera funzionale all’ottenimento di un prestito di 50 milioni di euro dalla Banca Europea per gli Investimenti” – denunciava la campagna. Denunce che alla stampa filo-governativa italiana apparivano fuori luogo tanto da dar la parola per il “giudizio finale” sulla faccenda alla ditta Salini Costruttori la quale rispondeva con tono profetico: “Abbiamo previsto rilasci d’acqua controllati a beneficio dell’agricoltura e progettato l’invaso in modo che si riempia a una velocità compatibile con la quantità delle piogge”. Secondo un comunicato della ditta “dal 2004 ad oggi, Salini Costruttori ha contribuito concretamente allo sviluppo sociale del territorio, donando ai villaggi limitrofi infrastrutture e opere di prima necessità”. Nessuna notizia sul sito della ditta Salini Costruttori della frana che ha già messo fuori uso la centrale. Una “grossa grana” di cui – ovviamente – non si ha interesse a parlare né in Etiopia né in Italia. A dieci giorni dal crollo e dopo il reportage del TG3, la ditta Salini spiega con un comunicato sul sito che si sarebbe trattato di “un problema tecnico in fase di prova” dovuto ad “un imprevisto geologico” in quanto l’opera è realizzata nella Rift Valley, “una della faglie del Continente africano”. (Giorgio Beretta – unimondo)

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