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Favole e cronaca nera

Favole e cronaca nera
Gennaio 08
23:32 2014

Disegno di Emanuele Luzzati, 1988Chi ha superato gli anta anta anta ricorderà forse qualcuna delle storie tremende che si raccontavano un tempo ai bambini per metterli in guardia contro il male e farli vivere nel timore d’incontrare orchi e lupi mannari. Storie spacciate per vere, e perciò tanto più orripilanti, come quella della matrigna cattiva che per liberarsi del figliastro gli infilava nel naso quegli animaletti repellenti detti forbicine o tenaglie, e questi s’insinuavano fino ad arrivare al cervello della povera creatura, che non faceva altro che strillare mentre giorno per giorno deperiva;

ma qualcuno se ne accorse e avvisò il padrone di casa, che sventata l’orrenda macchinazione fece fuori l’indegna seconda moglie, restando di nuovo vedovo.
Un’altra storia, sempre di matrigne, era se possibile ancora più spaventosa. Per liberarsi della figliastra, di cui era gelosa, la matrigna la uccise, la scuoiò come un coniglietto e la cucinò per servirla al marito come piatto prelibato. Ma il mignoletto della piccina, con l’unghia ancora attaccata, tradì la matrigna che pagò con la vita l’infame delitto. E il povero marito rimase di nuovo vedovo.
Perché si parlasse tanto di matrigne nei tempi andati, è forse spiegabile con l’alta mortalità delle donne durante il parto o per sopraggiunte complicanze: la setticemia allora non perdonava. E perché si parlasse tanto di vedovi – che abbondavano anche tra i re, come la favolistica di ogni tempo e di ogni regione insegna – era conseguenza logica, così com’era ovvio che i vedovi pensassero subito a risposarsi per portare avanti il discorso della famiglia, e della prole che si voleva numerosa.
Tante cose sono cambiate, ma non le brutte storie che riempiono la cronaca nera. E non sono favole, e non si raccontano ai bambini per renderli avveduti e prudenti, ma vengono insinuate nell’animo dei fruitori di notizie come insetti schifosi che penetrando dall’orecchio sforbiciando si fanno strada mirando al cervello, per impadronirsene e farvi il loro nido d’indicibile orrore.

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