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Gli archivi segreti del SISMI

Febbraio 08
23:00 2010

Dall’estate 2001 a maggio 2006 il governo Berlusconi avrebbe utilizzato il SISMI (Servizio segreto militare) per costruire circa ottomila dossier su parlamentari dell’opposizione (tra cui Romano Prodi), magistrati italiani ed europei, giornalisti, componenti di associazioni varie e del “movimento dei Girotondi”. Tutti sono schedati a loro insaputa sulla base di attività di spionaggio, messe in atto in special modo con intercettazioni telefoniche. Dopo il segreto di Stato apposto alle indagini dal Presidente del Consiglio lo scorso dicembre si erano perse le speranze di arrivare alla verità su questa vicenda. Ma veniamo ai fatti emersi dagli atti delle Procure e raccontati da Il Fatto Quotidiano. Già nel 2005 il settimanale L’Espresso aveva rivelato che, sotto il governo Berlusconi, i Servizi Segreti possedevano diversi uffici in Italia da dove spiavano le inchieste delle procure più “calde” d’Italia. Poi accade che il 5 luglio del 2006 la DIGOS (Divisione operativa della Polizia di Stato) di Milano irrompe in uno di questi uffici, quello di via Nazionale a Roma, e scopre un vero e proprio centro di analisi di intercettazioni telefoniche, diretto da Pio Pompa. La DIGOS si trova di fronte a un archivio riservato del SISMI, di cui allora era a capo Nicolò Pollari. Tutte le persone intercettate sono schedate nei computer con acronimi e sigle. Poiché tra le vittime dei dossier ci sono alcuni magistrati di Roma, la Procura di Perugia, per competenza, apre un’inchiesta sul caso. Il P.M. di Perugia Sergio Sottani accusa Pollari e Pompa di aver distratto “somme di denaro, risorse umane e materiali” per fini diversi da quelli istituzionali, come la redazione di “analisi sulle presunte opinioni politiche, sui contatti e sulle iniziative di magistrati, funzionari dello Stato, associazioni di magistrati anche europei, giornalisti e parlamentari”. A Pollari e Pompa viene contestata anche l’indebita intrusione nella vita privata delle persone schedate. Pollari dichiara di aver agito seguendo ordini dall’alto e di non poter dire altro per non svelare alcuni assetti organizzativi del SISMI. Si scopre che l’archivio segreto è autorizzato dal Presidente del Consiglio dei ministri, ma il Premier, sentito allora dalla Procura di Perugia, non rivela altro, né se e come sono avvenuti i pagamenti per quelle attività di “dossieraggio” del SISMI (oggi AISE), né chi le ha ordinate. Berlusconi conferma il segreto di Stato, chiesto da Pollari, che consiste – ricordiamo – nel mettere il vincolo su atti, documenti, notizie, attività, cose e luoghi la cui divulgazione può danneggiare gravemente gli interessi fondamentali dello Stato. Si tratta di un atto politico che, per legge, può essere disposto esclusivamente dal presidente del Consiglio per impedire all’autorità giudiziaria l’acquisizione e l’utilizzazione delle notizie sulle quali è apposto il segreto di Stato. Berlusconi comunica il caso (come prevede la legge) al COPACO (Comitato parlamentare di controllo sui Servizi Segreti), oggi sostituito dal COPASIR (Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica), che dovrebbe tutelare i cittadini dalle deviazioni del Servizio Segreto. Ma torniamo ai fatti. Il 20 novembre 2006 Pollari è sostituito dal capo della polizia Gianni De Gennaro. Il 12 dicembre 2006 viene arrestato Mancini, numero due del SISMI, per i suoi rapporti con il capo della sicurezza della Telecom Giuliano Tavaroli e con l’investigatore di Firenze Emanuele Cipriani, titolare dell’agenzia investigativa privata “Polis d’Istinto”. Mancini ha passato informazioni a Cipriani, finite nei dossier della sicurezza Telecom, in cambio di denaro. Cipriani in tal modo ha costruito settemila dossier su magistrati, politici e giornalisti. Ma Mancini, interrogato dai P.M., dice di non poter parlare senza l’autorizzazione del Premier. L’inchiesta in seguito coinvolge anche il capo della security Wind Salvatore Cirafici. Il P.M. Bruni di Crotone accusa Cirafici, tra l’altro, di aver offerto a persone delle istituzioni delle schede telefoniche difficilmente rintracciabili per le procure: in apparenza “disattive” ma in realtà perfettamente utilizzabili. Nel luglio 2007 dell’attività relativa al “dossieraggio” del Sismi se ne occupa il Consiglio Superiore della Magistratura, che si conclude con l’approvazione di una relazione del consigliere Fabio Roia. Si viene a sapere così, sulla base di un documento dell’estate 2001 del SISMI, che si ipotizzavano addirittura interventi per “disarticolare“, “neutralizzare“, “ridimensionare” e “dissuadere“, anche con “provvedimenti” e “misure traumatiche“, i presunti avversari del Premier. Non presunti nemici della Repubblica (nel qual caso lo spionaggio sarebbe stato legittimo), ma del Presidente del Consiglio! L’ufficio di via Nazionale aveva spiato circa 200 magistrati per “intimidirli” e far “perdere loro credibilità“. Il CSM precisa che a fare un tale archivio è stato il Sismi “in quanto tale“, non “settori deviati” di esso. Scrive ancora il CSM che in base alla legge “l’attività sin qui descritta è estranea alle attribuzioni e competenze del SISMI preposto [… ] a tutti i compiti informativi e di sicurezza per la difesa sul piano militare, dell’indipendenza e della integrità dello Stato da ogni pericolo, […] ai compiti di controspionaggio connessi con i fini suddetti… E’ chiaro che le iniziative giudiziarie e le attività di partecipazione al dibattito politico-culturale sono componenti essenziali della democrazia e nulla hanno a che vedere con aggressioni e minacce“. Insomma, i magistrati che intervengono nelle trasmissioni televisive non sono una minaccia per la democrazia! Il CSM scrive, inoltre, a proposito delle analisi e schedature di Pio Pompa, per conto del SISMI, che “tale attività si proponeva di conseguire effetti di intimidazione nei confronti di alcuni magistrati e di cagionare perdita di credibilità nei confronti di altri, preposti a indagini e processi particolarmente delicati...”. Ma ciò che più inquieta è che queste analisi di Pompa – secondo il CSM – risultano poi essersi trasformate in atti di governo o in precise campagne di stampa riprese in Parlamento, così che, se il “pericolo” per il Governo da “disarticolare” si occupava di corruzione e di reati finanziari, ecco pronta una legge per depenalizzare il falso in bilancio. Se la minaccia si annidava nelle magistrature del resto d’Europa, ecco subito la norma che cestina le rogatorie internazionali. E se il Governo necessitava di guardarsi dagli organismi investigativi dell’Unione Europea, come l’Olaf e l’Eurojust (l’organo che facilita la collaborazione tra le magistrature) ecco il sabotaggio di entrambi gli enti, seguito dal no del Governo italiano al mandato di arresto europeo. A fine dicembre scorso anche per Mancini, come per Pollari, il Premier ha confermato il segreto di Stato. Sulle connessioni tra il “dossieraggio” illegale e gli uomini del controspionaggio militare, nonché sull’interferenza tra il servizio d’intelligence privato di compagnie telefoniche e quello pubblico è calato il silenzio di Stato. La storia ci insegna che ogni regime autoritario per prima cosa colpisce e delegittima la magistratura e la libertà di stampa. E a detta di quegli schedati di rilievo intervistati questa vicenda è grave: è un duro colpo ai principi liberali dello stato di diritto! Per gli approfondimenti su questo caso rimandiamo il lettore ai numeri del 12, 24, 31 dicembre 2009, e 6, 8, 9 gennaio 2010 de Il Fatto Quotidiano.

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