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I primi passi dell’anestesia

I primi passi dell’anestesia
Febbraio 19
23:00 2015

Primo intervento con etere della storiaIl dolore subito dai pazienti durante interventi chirurgici ed estrazioni dentarie è sempre stato un problema importante, se non proprio il più importante della medicina. Per consentire ai malati di sopportarlo, nel tempo è stato tentato di tutto, ma con scarsissimo successo, e alla fine eliminare le sofferenze è sembrato del tutto irrealistico.

Verso la metà dell’Ottocento Alfred-Armand Louis-Marie Velpeau, uno dei maggiori chirurghi francesi, arrivò a dire che «evitare il dolore nelle operazioni è soltanto una chimera che non è possibile raggiungere, oggi». Luigi Porta, caposcuola della chirurgia a Pavia, più o meno nello stesso periodo manteneva sulla questione un atteggiamento intollerante: ogni volta che qualcuno gli moriva sotto i ferri, si arrabbiava ed esclamava, furioso, che era ‘da vili’ preferir morire piuttosto che sopportare il dolore dell’atto chirurgico. Al dolore in sala operatoria tutti, prima o poi, dovevano abituarsi, perché non c’erano alternative: e in effetti tutti, prima o poi, si abituavano.
Quando perciò il 18 novembre del 1846 un giornale di Boston dette la notizia che in quella città a un giovane tipografo cui era stato fatto inalare dell’etere solforico era stato asportato un tumore dal collo senza procurargli sofferenze, ci si sarebbe aspettati una reazione improntata allo scetticismo. Invece accadde esattamente l’opposto e tutti, ovunque, pur in mancanza di pubblicazioni formali, si misero in movimento per saperne di più. I più attivi furono ovviamente i clinici giovani, che ancora non avevano fatto il callo agli urli dei loro pazienti, e in quattro e quattr’otto decisero di provare la validità di quel nuovo metodo. Fu così che, procuratisi l’etere (si trovava facilmente, perché era conosciuto da tempo e da tempo usato a scopo ‘ricreativo’ per inalazione, fino alla comparsa di un leggero stordimento) e costruiti degli apparati rudimentali per l’inalazione (di solito, un palloncino terminante a imbuto, da applicare sulla bocca del paziente), quei giovani chirurghi iniziarono a operare con la nuova metodica. Un po’ incoscientemente, perché non avevano eseguito sperimentazioni né prove preliminari, ma con molta speranza e certamente fiducia nei ritrovati della scienza. A dicembre alcuni interventi con quel tipo di anestesia vennero compiuti in Inghilterra e a gennaio altri ce ne furono in Francia, in Germania e in altre regioni d’Europa. A breve distanza, trascinati dall’esempio dei loro irruenti colleghi, seguirono i chirurghi più anziani, in un’irrefrenabile epidemia di entusiasmo.

02-anestesiaIl primo impiego in ‘Italia’
A Milano, all’epoca una delle due grandi città del Regno Lombardo-Veneto (Stato autonomo dell’Impero Asburgico), le informazioni sull’eterizzazione giunsero attraverso un articolo proveniente da Vienna datato 29 gennaio 1847. Sei giorni più tardi all’ospedale Ca’ Granda con quella metodica fu compiuto un primo intervento. Inalato per circa un minuto e mezzo l’etere, una paziente, una certa N.A., venne sottoposta all’amputazione della parte terminale dell’avambraccio, dove una ferita che si era prodotta cadendo su una falce si era infettata. L’anestetico aveva indotto «l’ebbrezza del senso», grazie alla quale la donna «non aveva provato dolore alcuno durante tutto l’atto operativo», compiuto in nove minuti. Esatto: per approfittare della breve durata dell’anestesia indotta dall’etere l’intera operazione – incisione, asportazione, sutura e cauterizzazione della ferita – era stata completata in nove minuti. Un’enormità, rispetto al «meno di un minuto» servito a un chirurgo londinese per amputare la coscia a un uomo, un mese e mezzo prima.
Dopo questo primo successo, le iniziative per l’induzione dell’insensibilità con l’etere si susseguirono in fretta. La sera di quel giorno stesso fu istituita a Milano una commissione di medici per «istudiare e far rapporto su questa scoperta». Ma già il 5 e il 10 del mese il medesimo ‘anestesista’ del primo giorno, Ambrogio Gherini De Marchi, reiterò l’impresa alla Ca’ Granda. Altre eterizzazioni chirurgiche furono praticate il 10 a Pavia, da Luigi Porta; il 12 a Bergamo; il 14 a Como; il 15 a Vicenza; il 20 a Varese e così via. In genere le operazioni consistettero in amputazioni e asportazioni di masse tumorali; ma furono eseguite anche estrazioni dentarie, rimozione di calcoli renali e interventi di risoluzione di ernie. Particolarmente notevole, per Gherini, fu un caso di strappo di unghia incarnita, l’intervento più doloroso che si conoscesse all’epoca, eppure il paziente su cui venne praticato non dette alcun segno di essersene minimamente accorto.
Molti ospedali rimasero in agitazione per settimane su quella nuova tecnica, che impiegò poco per propagarsi agli altri Stati della Penisola. A Roma il professor Baroni operò per la prima volta con l’etere, a casa sua, il 6 marzo. A Napoli si fecero alcune sperimentazioni ad aprile.
L’entusiasmo dilagò in un baleno. In Francia, l’incredulo Velpeau divenne in pochi giorni un fervido sostenitore dell’eterizzazione, al pari di Porta, che ripudiò completamente le sue attitudini precedenti e non operò più se non assistito dall’anestesia. Non tutti però si convertirono. Il pur giovane Gaetano Strambio, che al lavoro di medico accompagnava quello di redattore di un’importante rivista di medicina ed era quindi molto influente, affermò che quell’innovazione andava vista con molta ‘cautela’, ma intendeva in realtà diffidenza. E alcuni vecchi clinici condivisero questa posizione. A settembre dell’uso dell’etere si parlò per tre giorni filati al IX Congresso degli Scienziati Italiani, ma la diatriba non ebbe modo di svilupparsi più di tanto, perché già alla fine di quel 1847 nelle sale operatorie si affacciò il cloroformio, che garantendo una narcosi più profonda, presto scalzò l’impiego dell’etere. È tuttavia solo a quest’ultima sostanza che si deve la nascita dell’anestesia e la prima vera sconfitta del dolore nella storia dell’umanità: un’innovazione che entrò nella pratica di innumerevoli generazioni di medici, chirurghi e dentisti, in Italia e nel mondo, proprio a partire da quei lontani giorni del febbraio del 1847.

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