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Il Corriere della Sera rilancia il lavoro del Cild sul Borghetto Flaminio

Gennaio 08
16:30 2019
Capitale del degrado

La riqualificazione dei 5 ettari attesa da 16 anni. Il Comune lasciò le cubature alla Sapienza nel 2002 ma la burocrazia si è inceppata

Degrado urbano, palazzi decadenti, rifiuti e occupazioni abusive. Un panorama che non decora qualche estrema periferia della Capitale, ma il suo cuore storico: il Borghetto Flaminio. Scenari di incuria totale a pochi passi da Piazza del Popolo, dove nel ‘900 si trovava l’epicentro culturale della città.

È nel quadrilatero verde di collina dove sorge Villa Strohl Fern, che vivevano molti artisti dell’epoca: da Francesco Trombadori a Carlo Levi. Un’area immensa, di proprietà comunale, che si snoda all’inizio della via Flaminia: uno spettacolo indecoroso di graffiti e manufatti abbandonati, su cui affacciano le finestre del maestoso palazzo della Marina Militare. I cinque ettari «di notevole valore paesaggistico e urbano», come certifica lo stesso Piano regolatore, attendono una riqualificazione da oltre sedici anni, da quando è stato firmato un protocollo di intesa che avrebbe dovuto restituire gli ampi spazi alla fruizione della cittadinanza. Gran parte delle cubature infatti sono state cedute dal Comune – anno 2002, sindaco Walter Veltroni – all’Università «La Sapienza»: nell’antico borgo sarebbe già dovuto nascere il campus di Architettura. Ma la macchina burocratica si è inceppata di continuo.

A chiedere al Campidoglio il recupero dell’area di pregio è il Centro di iniziativa per la legalità democratica (Cild), insieme al Coordinamento periferie Roma, che ha fatto istanza di accesso agli atti a ottobre 2017 presso il dipartimento Patrimonio: il quadro emerso certifica una gestione nebulosa e frammentata dei vari spazi, che ha creato le «isole di degrado» alternate a realtà culturali di successo. Come il bel Museo dei bambini «Explora», ricavato nell’antica rimessa Atac: 10 mila metri quadrati in concessione per 15 anni, in attesa di lumi dal Comune per il rinnovo.

Lungo e ingarbugliato anche l’iter per la cessione degli immobili alla Sapienza: dove oggi ci sono solo sfasciacarrozze e edifici logori, avrebbero dovuto esserci aule e laboratori, ma tra delibere lumaca e rimpalli l’università romana non è riuscita ancora ad aprire i cantieri. Secondo i cartelli i lavori dovrebbero partire quest’anno.

Dopo gli ennesimi ritardi, proprio il Cild a luglio 2018 ha diffidato Roma Capitale a concludere il procedimento di autorizzazione per le opere d’interesse pubblico: la conferenza di servizi, l’ultima, si è chiusa effettivamente quest’anno. Ma manca ancora un tassello, la deliberazione dell’assemblea capitolina per il via libera definitivo al futuro campus: tempi quindi incerti per la posa della prima pietra. Dai documenti del comitato poi spiccano due aree al centro di contenziosi giudiziari e quindi cristallizzate. Come il caso dello storico mercatino dell’usato, il Garage Sale, che da 14 anni apre in alcuni fabbricati in teoria in uso alla Sapienza, «con tariffa di ingresso per i visitatori e locazione dei posti vendita agli espositori». L’università ha chiesto di cessare le attività commerciali, ma la società di gestione ha ottenuto da Tar e Consiglio di Stato la sospensione del provvedimento.

Anche per il Circolo Bocciofilo Flaminio, il Cild ha indagato senza avere «riscontri da parte del dipartimento Patrimonio». Il II Municipio nel 2016 aveva fatto partire la revoca delle concessione, il Tar ha dato ragione al parlamentino dei Parioli contestando gli ampliamenti del circolo come «abusi edilizi» (ristorante e palestra), ma la querelle prosegue, i titolari sono già pronti al ricorso.

E questi sono solo alcuni degli esempi più macroscopici del ginepraio urbanistico creato negli anni al Borghetto Flaminio. «Il nostro lavoro di verifica non è di opposizione all’amministrazione, ma di collaborazione e stimolo – precisa Tommaso Capezzone da Cild –. L’intento è di affiancare il Campidoglio per riuscire a risolvere la situazione del Borghetto, la periferia dietro piazza del Popolo come l’abbiamo ribattezzata, che dovrebbe essere una risorsa per la comunità, e invece è un preoccupante puzzle di degrado urbano».

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