Notizie in Controluce

 Ultime Notizie

Il mito di Orfeo – 4

Ottobre 10
23:00 2009

Allo ‘sguardo di Orfeo’ s’interessa anche Salvatore Lo Bue, che differenzia tra due tipi di poesia: il melos (assoluto incantamento musicale) e la pòiesis (forma di conoscenza). Custode e simbolo del primo tipo è l’originario Orfeo agamos (cioè solitario, senza Euridice) attraverso la cui voce gli déi ascoltano e rivivono l’armonia del principio, la nascita del mondo, l’infanzia dell’umanità. Egli conduce ogni cosa alla luce, poiché è poeta armonico, devoto a Helios, difensore del cosmo ermetico. Gli déi non lo temono poiché egli non osa metterli in dubbio e ha accettato di contrarre con loro un mutuo foedus di non belligeranza, tramato di menzogna alle spalle dell’uomo. Infatti, lo uccidono le Baccanti, istigate alla vendetta da Dioniso (dio dell’oscurità umana). Il secondo tipo di poesia pertiene all’Orfeo libero contro gli déi e umanizzato. L’umanizzazione di Orfeo segna la sua dolorosa e solitaria libertà di poietes, capace di una parola infinitamente meno suggestiva ma carica di pensiero, una parola che insegna agli uomini e rivela loro, oltraggiosamente, i segreti degli déi. Da scriba del cosmo ermetico Orfeo diviene figura della contraddizione, del principio tragico, del Logos. In entrambi i casi è figura di relazione tra Physis e Mytos: armonica prima, oppositiva poi. La differenza sta proprio nello sguardo e si gioca nel diverso esito (positivo o negativo) della catabasi in Ade. Nel mito di Orfeo la catabasi è una variante successiva (non attestata prima del VI secolo a.C.), che segna l’apparizione di Euridice e contraddistingue la nascita dell’Orfeo poietes. Affrontando la catabasi, l’Orfeo melico ottiene facilmente Euridice e tuttavia resta agamos, giacché la riporta alla luce senza conoscerla veramente e a prezzo della propria libertà, restando prono alle leggi degli déi. L’Orfeo poietes, invece, perde Euridice guardandola, e la perde proprio perché la guarda e in tal modo la conosce, contravvenendo al divieto degli déi che temono la parola libera e pretendono cieco il poeta. Questo secondo Orfeo rompe l’equilibrio fra Natura e Mito e svela il vuoto sinora celato nell’essenzialità del nome, cioè nella perfetta coincidenza fra essere e nome. È l’ipostasi del passaggio fra due epoche: il mondo del Mytos comincia a vacillare sotto i colpi spietati e spregiudicati del Logos. Il Mytos cerca di difendersi arroccandosi nell’ultimo eden, quello della catabasi con esito felice – non a caso la versione del mito di Orfeo in cui i Greci preferiranno continuare a credere. La notte ermetica aveva originato il nome degli déi, quindi gli déi stessi. Principiati dal gioco poetico originario, gli déi si erano a loro volta posti come increato e assoluto principio di tutte le cose. Lo scriba che stava all’ingannevole gioco, il reggitore dell’universale menzogna, il compare degli déi, poetava a patto di negare se stesso in quanto creatore. L’Orfeo poietes, invece, comprende e svela che gli déi sono un’invenzione umana; non solo, ma arrischia sé e la parola nel punto originario di ogni nominare, nel fondamento stesso della creazione poetica, rendendola e rendendosi più consapevole dei propri mezzi. Il che significa accettare la nudità originaria, il rischio di trovarsi soli dinanzi al baratro della privazione, centrati nella propria essenza, pericolosamente liberi di pensare, senza più illusioni o false certezze, estranei per questo al mondo degli déi come a quello della maggior parte degli uomini che non tollera – al pari degli déi – la libertà difficile. Una nuova poesia, non religiosa ma umana, che non dà gioia ma semina l’alito scuro della disillusione, che mostra le verità contraddittorie dell’esistenza senza comporle in alcun rasserenante ordine, che osa parole illecite per dire l’uomo “sogno di un’ombra”, fino ad esserne il compiuto e veritiero discorso. Lo sguardo di Orfeo segna dunque lo stacco fra due modi diversi di intendere obiettivi e modalità del fare poetico, il passaggio dalla svenevole acquiescente dolcezza del melos alla parola ruvida, scabra, densa di pensiero. È l’invenzione della tragedia, del disincanto, della libertà, della responsabilità individuale. L’uomo da solo dinanzi a se stesso e al proprio destino. Il poeta chiamato ad una nuova ‘sapienza epistemica’ della propria arte. Non più irresistibile ammaliatore, non più scriba del Mytos, non più divino aedo delle origini. Questa nuova tipologia di poeta rappresenta lo sgorgare del Logos dal cuore stesso del Mytos (a significarne la crisi d’identità) ed incarna l’essenza della “poiesis platonica. Platone, che nel Simposio giudica con palpabile acredine il destino di Orfeo (è la prima voce autorevole a sostenere l’esito negativo della catabasi motivandolo con l’ignavia del cantore tracio, giudicato “fiacco nell’animo, vile nel canto, incapace d’azione”), preconizza l’avvento di una poiesis pasa aitia“, complessa e autocosciente, principio e termine di sé, ma soprattutto in grado di svegliare gli uomini dall’imperturbabile sonno delle favole, di insegnare loro grammata e sophien, parole e sapienza, verità. Tutto questo comporta l’apparizione di Euridice e l’imprudente gesto del suo sposo. Basta l’accorpamento di una costante mitica tradizionale come la catabasi in Ade a modificare i connotati dell’originario Orfeo agamos, a mettere a dura prova l’integrità del suo significato, o per lo meno a turbarne l’univocità, offrirne una possibile alternativa, d’ora in poi ineludibile. (Continua)

Articoli Simili

0 Commenti

Non ci sono commenti

Non ci sono commenti, vuoi farlo tu?

Scrivi un commento

Scrivi un commento

MONOLITE e “Frammenti di visioni”

Categorie

Calendario – Articoli pubblicati nel giorno…

Marzo 2024
L M M G V S D
 123
45678910
11121314151617
18192021222324
25262728293031

Presentazione del libro “Noi nel tempo”

Gocce di emozioni. Parole, musica e immagini

Edizioni Controluce

I libri delle “Edizioni Controluce”