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Il processo sulla presunta trattativa Stato-mafia

Il processo sulla presunta trattativa Stato-mafia
Ottobre 28
06:59 2013

Il boss Luciano Liggio, Palermo 1978. Foto di Letizia BattagliaLe rivelazioni del defunto Buscetta servono a capire l’evoluzione della mafia
Tommaso Buscetta è stato il primo importante pentito di mafia, che al magistrato Falcone rivelò la struttura e l’organizzazione della mafia, i clan emergenti e le guerre che allora erano in corso. Dopo gli omicidi dei magistrati Falcone e Borsellino rivelò anche i rapporti tra politica e mafia ed in particolare parlò di Salvo Lima e Giulio Andreotti.

Buscetta attribuì a Liggio, il boss di Corleone, gli omicidi dei giudici Scaglione e Terranova. E quando Liggio fu assolto disse che la tradizione di Cosa Nostra era stata rispettata perché Liggio era uscito indenne dalle accuse, in quanto la mafia è abituata a lanciare il sasso e a nascondere la mano. Buscetta spiegò che Cosa Nostra uccide un magistrato quando fa veramente il suo lavoro. Secondo lui il mafioso cercava il contatto, la relazione perché da questa doveva scaturire il futuro interesse. All’inizio la mafia agiva contro la sopraffazione dello Stato per fare liberamente i propri affari ma senza mostrare le armi con azioni eclatanti. Poi con il tempo le cose sono andate deteriorandosi quando non è stato più necessario lottare contro lo Stato o, comunque, quando la mafia ha dovuto dimostrare di contare ancora nel condizionare lo Stato. Infatti, gli attentati dinamitardi contro i magistrati e gli uomini delle scorte furono fatti per dimostrare che Cosa Nostra era ancora potente.
Questa l’analisi di Buscetta rivelata al giornalista Enzo Biagi. Dunque, tale evoluzione della mafia è avvenuta quando si è formato un terzo livello, composto da persone concatenate tra loro, senza che nessuno sapesse dell’altro. Terzo livello ben inserito nelle istituzioni dello Stato. Sembra di vedere l’Italia delle logge massoniche, di una certa politica che lancia anatemi contro la giustizia. Buscetta disse che la mafia decise di uccidere Falcone per spingere alcuni rappresentanti dello Stato a trattare: fermare le stragi in cambio della cancellazione del carcere duro ai mafiosi arrestati e della garanzia della latitanza ai boss. Borsellino, invece, fu ucciso perché, indagando sulla morte di Falcone, aveva intuito che era in corso la trattativa. Buscetta testimoniò al maxi-processo di Palermo dove furono condannati i capi mafia. Don Masino è morto nel 2000 a New York. Oggi al processo in corso a Palermo, insieme ai capimafia, si trovano sul banco degli imputati anche pezzi dello Stato e delle istituzioni.
La strategia mafiosa rivelata da Tommaso Buscetta appare valida ancora oggi. In primo luogo, l’organizzazione mafiosa non fa mai cose che possono essere provate. C’è spesso qualcun altro, al di fuori dell’organizzazione mafiosa, su cui si può far ricadere la colpa. In secondo luogo, la mafia, oltre ad uccidere, toglie anche la reputazione di quanti fanno il proprio dovere, diffamandoli e calunniandoli. Lo stesso fanno i politici, che hanno relazioni con la mafia, per difendersi. Sono i politici oggi a servirsi del mafioso, a differenza del passato. A Falcone che lo interrogava Buscetta disse: «A lei cercheranno di distruggerla fisicamente e professionalmente. Non dimentichi che il conto con Cosa Nostra non si chiuderà mai.» Quando, nel 1988, Antonino Caponnetto lasciò il ruolo di istruttore capo di Palermo per sopraggiunti limiti di età, Falcone si candidò alla successione, quale naturale sostituto, ma il Consiglio Superiore della Magistratura gli preferì, per anzianità, Antonino Meli. Si pensò ad una determinata volontà di delegittimare il suo lavoro allo scopo di distruggere il cosiddetto “teorema Buscetta”, che risultò fondamentale al maxi-processo a Palermo per la condanna dei capi mafia. Per conoscere una sintesi di quarant’anni di storia italiana tra malaffare, massoneria e mafia, consigliamo il libro di Sandra Bonsanti Il gioco grande del potere (Chiarelettere).

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