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“Il sesso e la vita”, il nuovo romanzo di Aldo Onorati

Novembre 07
08:05 2011

A colloquio con l’autore

D – Professor Onorati, con questo nuovo romanzo la sua narrativa, pur sempre vitale e freschissima, sembra tornare alle “origini”: c’è un recupero dei tratti distintivi, tipici, che da oltre quarant’anni la rendono patrimonio vivente dei Castelli Romani. È d’accordo se dico che Il sesso e la vita rappresenta una sorta di sintesi, di originale condensazione, per sedimento interiore di acquisita maturità, fra opere fondamentali come gli Ominidi, La speranza e la tenebra, Nel frammento la vita? Che dunque abbiamo fra mani il perfetto “classico” onoratiano, lo specimen storicizzato della sua misura di uomo e di scrittore?

 

R – Chissà… Non lo so. Il libro è stato scoperto, direi, da Marco Onofrio, critico e scrittore che ha tracciato una prefazione acuta, e ha curato la pubblicazione del testo. Non è la prima volta che affido i miei inediti a chi vi crede più di me. È accaduto con Carmelo Marzano per La saga degli ominidi, a suo tempo respinto da tutti gli editori. Quel libro ha incontrato una straordinaria fortuna, che dura ancora… Sono un autore pieno di dubbi, almeno riguardo le mie pagine. Ora, attraverso il lavoro di lima del Sesso e la vita, durato anni, forse posso ammettere che esso è una sorta di sintesi fantasiosa (storica solo nelle atmosfere) e di superamento dei libri da lei menzionati, nonché una maturazione dei denominatori comuni ad essi.

D – Perché ha scelto di pubblicarlo con EdiLet?

R – Perché è un’editrice vera. Mi spiego. Le Case che la sera ricevono un dattiloscritto e la mattina firmano il contratto con l’autore (e ce ne sono tante), stampano di tutto, intasando il già stracarico mercato librario. EdiLet sceglie, consiglia, ha una diffusione nazionale nelle librerie, un catalogo interessante. Io mi sentirei a disagio con gli editori industriali. Sono allievo di Armando Armando, un grande intellettuale che teneva con gli autori un rapporto personale, apprezzando più le recensioni che le vendite. Se credeva a un libro, non lo abbandonava mai, anche se il mercato non gli dava conforto.

D – Marco Onofrio, nella prefazione, sottolinea la “controspinta” (sulla natura dell’uomo e delle cose) che approfondisce lo spessore del plot, cioè lo sviluppo puro del racconto. Secondo il prefatore questo un romanzo è pure un ‘saggio’ (nel senso degli Essais di Montaigne) e quindi un’opera di pensiero. Quanto influisce in lei il peso della cultura classica (anche come modello di stile)?

R – Marco Onofrio ha colto proprio l’equilibrio che c’è fra narrazione e filosofia. D’altronde, ogni scrittore o poeta che sia tale, è anche un filosofo, altrimenti la parola diviene vuota se non esprime un mondo alternativo, una visione della vita nuova o stimolante. La differenza tra il filosofo e lo scrittore consiste in ciò: il primo si esprime per concetti, il secondo per immagini, passioni, sentimento, ma la radice è una. E, se manca questa, va all’aria tutto il resto. Ci sono sommi filosofi che sono grandi scrittori, come Platone e Nietzsche, e sommi lirici che sono grandi filosofi come Leopardi, Dante, Shakespeare, Milton, Swift, Foscolo, Manzoni, Dostoevskij, Pirandello, Camus, Orazio, Omero etc. Il romanzo (cioè una narrazione con tanto di trame interagenti) è rafforzato dal ‘saggio’ sotteso al racconto, ai personaggi, ai dialoghi; il saggio è reso fluido dall’affabulazione. Parlo in genere, non di me. Il segreto consiste nel catturare l’attenzione del lettore senza fargli pesare il pensiero dello scrittore. Mi creda: è difficile, ma forse sta proprio lì il valore d’un’opera. Montaigne lo adoro, soprattutto perché riporta a sé le esperienze universali, e universalizza i fatti accaduti a se stesso. La cultura classica (se per classicità s’intende anche il moderno, purché sia grande) è un punto di riferimento di cui mi nutro in continuazione, ma è la vita la vera fonte della cultura, la quale trova nei libri un riscontro, forse una spiegazione, ma non la sorgente dell’ispirazione e della scrittura. Shakespeare e Dante avevano mille anime. I Crepuscolari e gli Arcadi (di cui la letteratura odierna è strapiena sotto mentite spoglie) ne hanno una sola.

D – Come immagina la reazione dei giovani lettori a Il sesso e la vita? Che differenza nota fra i giovani di oggi e quelli della sua generazione? Come è cambiata l’educazione sentimentale?

R – Pochi giovani leggono e non si scandalizzeranno del mio libro. Le differenze tra le generazioni dipendono da molti fattori: la tecnologia che ha sollevato i lavoratori manuali dalla fatica a favore del tempo libero; la politica; il rapporto tra la scuola e la famiglia; il cedimento dei freni inibitori e la scomparsa dei tabù. Con la caduta dell’impero Carolingio, gli adulti si affrancarono dall’obbedienza all’autorità. Con il Sessantotto c’è stata la desottomissione dei ragazzi ad ogni tipo di autorità. Da qui ogni bene e ogni male possibili. In quanto all’educazione sentimentale, c’è di mezzo la liberazione della donna attraverso la pillola anticoncezionale, il lavoro di lei fuori casa, gli elettrodomestici (le nostre mamme lavavano i panni alla Mola, accendevano il fornello a carbone, facevano il sapone e il pane in cucina etc.), l’uguaglianza dei sessi (almeno a parole: ma già è molto, perché prima la donna non aveva diritto al voto, c’era il mito della verginità, era una macchina per fare figli data la forte mortalità infantile). Prima si doveva andare alle case chiuse e lasciare il sentimento al matrimonio, perché la nostra amata era racchiusa in steccati controllatissimi e in una morale rigida. Oggi i contatti sessuali fra giovani cominciano a un’età piuttosto tenera. Ciò potrebbe essere un bene se fatto insieme al cuore e pensando al futuro; è un male se visto e usato come il bere un bicchiere al bar: la donna e l’uomo sono molto diversi anche sul piano sessuale. Uguagliare la prima al secondo è forzare e falsare la natura, con tutte le conseguenze di ordine interiore e sociale che ne derivano.

D – Che cosa si aspetta da questo romanzo? Quale risultato lo renderebbe soddisfatto e perché?

R – Come autore non mi aspetto nulla più di quanto ho già avuto dal romanzo: la gioia di scriverlo; di vederlo pubblicato da un’editrice seria che mi ricorda, per taluni aspetti, l’atmosfera dei primi libri pubblicati con Armando; l’apprezzamento di chi lo ha già letto. Il risultato che mi renderebbe soddisfatto è legato alla vendita dell’edizione, così mi sentirei meno in obbligo con l’editore che ha investito i soldi per la pubblicazione e per il lancio. Di rado concorro ai premi (il Nobel ha trascurato Tolstoj, Proust, Cechov, D’Annunzio, Verga, Borges, Gorkij, Tozzi, Pound, Rea, Pascoli e cento altri di cui ci nutriamo giornalmente). Quindi, non ho alcuna ansia per il successo. Ogni libro ha un suo destino segnato, e più il riconoscimento è tardivo, più dura. Non miro al milione di copie né al successo di una stagione. Sono, nonostante questo, o proprio per questo, un autore e un uomo appagato.

D – Che cosa pensa della narrativa italiana contemporanea? Quanto pesa sulla produzione letteraria il condizionamento del mercato?

R – La scrittura odierna è quasi tutta uguale. Io leggo molto, lo so di certo, però chi ci dice che non ci sia qualche genio nascosto, inedito come lo erano Kafka e Leopardi? Al momento vanno di moda i libri che rispondono a esigenze di mercato. Gli editori hanno all’interno gli addetti all’editing, i quali non di rado maneggiano i dattiloscritti secondo precise indicazioni del gusto generale del momento, e chi sa leggere a fondo si accorge pure delle manipolazioni, perché sente che lo stile di quell’autore (lo stile è impulso biologico inconscio come è naturale il colore degli occhi e il timbro della voce) non è unitario e altri ci hanno messo le mani. Io, come scrittore, preferirei tenere nel cassetto una mia opera piuttosto che vederla violentata. Il successo, in tal caso, si paga troppo caro, rinunciando a se stessi e alla propria personalità. Mi creda: accade molto più di quanto si pensi. Ed ecco i risultati. Un libro costa una vita, non un’estate. Ma Leonardo disse: «Il tempo non terrà conto delle opere che non hanno tenuto conto di lui».

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