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Il silenzio di un bambino che non ha il diritto di piangere

Aprile 12
12:19 2010

Sarà capitato anche a voi… di avere un martello pneumatico che batte nella testa. Bambini. Quel santo miracolo a cui mai ci si abitua. Di bambini ne nascono pochi – il tasso di natalità in Italia continua a mantenersi basso dopo la caduta in verticale registrata intorno agli anni ’70 – e una parte di essi non trova l’accoglienza a cui un bambino ha diritto. Una società che non è in grado di accogliere come si deve l’arrivo di un bambino, è una società accartocciata che non tende alla vita e al futuro. Un circolo vizioso da cui non si scappa. Non stiamo qui a fare l’analisi del fenomeno e dei suoi tanti aspetti, già troppo è stata girata e rigirata la frittata, schiere di specialisti stanno lì a divorarsi le meningi alla ricerca di spiegazioni che non porterebbero comunque a soluzioni, stando le cose come stanno. Quello che batte nella testa è il silenzio di un bambino che non ha nemmeno il diritto di piangere. Un bambino non ha bisogno di parlare, per farsi capire, un bambino ride o piange, o ti guarda curioso, o ti fa le smorfie, ed è così che comunica con l’esterno. Ma chi si occupa di lui deve saperlo osservare, entrare in empatia con lui per capire mediante il suo linguaggio le sue necessità. Un bambino non piange senza motivo, la vecchia teoria che il pianto serva al bambino per fargli allargare i polmoni è crollata da un pezzo, e serviva per giustificare la mancanza di cure adeguate quando i figli erano tanti e rimessi alla provvidenza divina, essendo scarsa quella umana e non per colpa ma per ignoranza e miseria.
Sgominate ignoranza e miseria, resta la colpa di una società immatura, egoista e opportunista e irresponsabile, incapace di assumersi il carico di un bambino che non nasce svezzato, e che da parte sua tanto s’impegna a crescere e a diventare autonomo, se solo gli si dà il tempo di attraversare il periodo delicato della prima infanzia, in cui è totalmente dipendente dagli adulti. Un bambino non fa in tempo a imparare a dire mamma che già viene affidato all’asilo nido, e ciò per pura necessità in quanto i genitori devono lavorare, ma in tanti casi anche perché è diventato difficile dedicare l’intera giornata ad un esserino che, per quanto amato, rappresenta un impegno totalizzante che non si è più capaci di sostenere.
Sacrificio e rinuncia era la regola per essere buone madri (e padri) di famiglia, e non è più applicabile oggi che si mette al mondo un figlio massimo due, già inseriti a tre anni nel mondo della scuola e proiettati in un sistema di socializzazione che dovrebbe viaggiare di pari passo con la famiglia ma che addirittura in qualche caso va a sostituirla, poiché il ruolo genitoriale non sempre si accorda con il ruolo lavorativo, e anche ricreativo, e le spese di tale asincronia le fanno un po’ tutti, e maggiormente il soggetto più debole.
Considerazioni che quando tutto va bene lasciano il tempo che trovano, ma non è questo che batte nella testa. Qualcosa di più martellante è lì che pressa e chiede risoluzioni. Un bambino di pianto può morire. Un bambino che ha fame o freddo o sete, o ha bisogno di essere cambiato, o solo coccolato, e lo chiede piangendo, perché quello è il suo linguaggio e altri non ne ha, un bambino che insiste nel piangere perché la sua richiesta rimane inascoltata, un bambino che viene torturato con pizzichi, morsi e bruciature perché la smetta di piangere e sempre più piange disperato, un bambino che così infastidisce chi dovrebbe accudirlo e non sa accudire nemmeno se stesso, ebbene, quel bambino potrebbe pagare con la vita il suo diritto alla vita, una vita non chiesta e per la quale con tutte le forze si batte nel rispetto di una natura che questo gli impone. Quel bambino potrebbe finire col cranio sfondato, e levare il disturbo dopo una silenziosa agonia consumata fra le sue lacrime e le sue orine, con un rumore di martelli pneumatici che sfondano il cranio di chi ancora ne ha uno per pensare, e provare il terrore dell’impotenza di fronte a tanto male.
È accaduto. Il bambino si chiamava Alessandro, aveva otto mesi.

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