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Il valore di una donna

Dicembre 19
23:00 2008

Erano i primi anni Settanta quando una studentessa, radicalmente di sinistra, quasi piangeva ed io pure con lei, dopo la lettura di non so quale articolo su L’Espresso, che ribadiva con tono dissociativo che il valore di una donna, a quei tempi, era tutto fra le sue gambe; cioè nella sua verginità (tabù da sfatare, secondo “L’Espresso”). Quale nesso avrebbe avuto questo pianto, con l’imminente “libertà sessuale”, per cui la verginità non sarebbe più stato il massimo valore di una donna? Chi potrebbe dirlo! Nessuno ci ha mai pensato! Sfatare questo tabù avrebbe liberato un torrente in piena che si sarebbe diviso in due tronconi: uno avrebbe permesso alle donne di essere sé stesse e considerate per le loro capacità intellettuali; l’altro, almeno in un certo immaginario maschile, avrebbe considerato le donne oggetto di stupro, non più protette dal valore carismatico della verginità. Premettiamo che da sempre la verginità oltre l’età puberale è un grande privilegio riservato a pochissime donne con un forte carisma come, per esempio, alcune sacerdotesse o più correntemente suore o monache. Basti pure pensare alla “Vergine Maria”. Ma non si può non pensare che più che un privilegio per poche fortunate, tutto questo sia un simbolo, un picchetto posto a limitare qualcosa o qualcuno, un argine per fermare qualcosa o qualcuno, un contraltare di qualcosa; questo qualcosa non può che essere il dilagare della libidine e delle “donne preda” sempre disponibili e a portata di stupro, a pagamento e non. In questi ultimi trenta/quarant’anni c’è stata un’esplosione di “sesso libero”, prostituzione e pornografia. “È la libertà” – qualcuno mi dice – ma c’è la sensazione diffusa di qualcosa di sbagliato, che non si sa dove ci sta portando. Ed ecco come un fulmine a ciel sereno “la trovata geniale” di certa signorina che per guadagnarsi la fama per esordire in non si sa che cosa, chiede un milione di euro per la sua verginità (Quante ragazze si saranno morse le dita per…..averla data gratis?). Infatti si presenta in tv, bellissima ma con finta innocenza. Nessuno può permettersi un milione di euro e quindi la sua verginità – e qui sta il valore carismatico di una donna – è irraggiungibile. Nessuno tranne uno sceicco, che si fa avanti, ma lei ci ripensa, deve riflettere. Era scontato! Se si sarebbe concessa sarebbe sprofondata nel mare magnum della donna qualunque, usata e di nessun valore anche se ricca. Ma intanto si è lasciato passare, come corrispettivo alla sua notorietà, un messaggio devastante per le giovani in particolare. Il loro valore sta fra le loro gambe! Il prezzo pagato da tutte le donne, per la fama della signorina, è un salto indietro di due secoli. Le femministe di ogni tempo e luogo, che hanno lottato fino all’ultimo respiro per la libertà delle donne, avrebbero voluto questo? Hanno pensato a questo?
In questo contesto ha un senso il rapporto sessuale solo all’interno del matrimonio. Il quale compensa la perdita di carisma della verginità con l’acquisto del carisma di moglie (successivamente con quello di madre) che non si perde neanche con la morte del marito. Per questo però deve rinunciare a se stessa e al suo cognome. Una trappola per il simbolico femminile, per la quale della donna rimane solo lo scafandro. Così la ex first lady d’America Hillary, non è Hillary Rodham ma Hillary Clinton.
Quale novità ci dobbiamo aspettare per le donne e per il mondo da una donna candidata alla Presidenza degli Stati Uniti d’America che si presenta con il cognome di un uomo? Ho indugiato nel mettere un punto interrogativo a questa frase, la tentazione era di porvi un punto esclamativo. Lasciamo che le donne vadano avanti con i mezzi che hanno, anche se questi sono dei derivati maschili, anche se questo comporta dei rischi, perché il cognome non è tutto. Hillary, solo per accedere alla candidatura della Presidenza, ha dovuto sfruttare per intero il suo status di moglie, anche se questo, con il tradimento del marito proprio mentre era Presidente, la umilia come donna. Per accedere alla candidatura insomma, ha dovuto appoggiarsi alla fama del marito nonostante il tradimento, rinunciando alla propria dignità. Sarebbe stato logico e dignitoso chiedere il divorzio, ma allora avrebbe dovuto rinunciare a qualsiasi ambizione.Si potrebbe ancora dire con sconsolante …..consolazione che gli Stati Uniti sono pur sempre la patria dell’emancipazione femminile perché il tradimento di un marito Presidente fa notizia. In un paese arabo non farebbe notizia. Ma noi, nel cimitero della dignità femminile, siamo inconsolabili. Tuttavia, non uccidiamo la speranza.

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