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In punta di cuore, di Ivana Uras

Dicembre 16
16:28 2013

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È stato stampato un nuovo libro ‘Edizioni Controluce’. Si tratta di una raffinata raccolta di poesie di Ivana Uras.
Dalla prefazione di Aldo Onorati: Il tocco lirico contenuto nei versi ipometri di Ivana Uras va colto nelle atmosfere, vale a dire fra le righe, perché ci si trova veramente di fronte a un fraseggio distillato, teso all’essenziale dell’espressione, ove una sorta di continuo ossimoro fa

lievitare il dettato a guisa di “ripensamenti improvvisi”, cose dette e negate al contempo, emozioni che si ribaltano nella sfera del sentire: qui sta la novità attraente della scrittura di Ivana Uras. Ma non solo. In punta di cuore (sebbene io rifugga da questa parola abusata) è un titolo che contiene il nocciolo della narrazione interna: il cuore, in quanto mitica sede delle emozioni, è lo strumento principale di questa melodia, la quale, talvolta, si amplia in una piccola, breve polifonia: e lo strumento non può che essere la voce umana, quella dell’autrice, la quale voce, come un’aria dolente e mitica di Vincenzo Bellini o un recitativo di Jacopo Peri, arriva immediata anche al nostro microcosmo interiore (e la raccolta si apre con una tenera “romanza” di ricordo della morte del padre: «Domenica, /erano rimasti solo i baci/ dati a gara»), in quanto la parola non è esclamazione o sfogo, bensì rappresentazione concreta dello stato d’animo del poeta, lo stato d’animo che formò il sipario di quel preciso momento evocato. Non bisogna declamarlo il dolore, ma ricrearlo e farlo sentire al lettore: questo vuole la poesia, e ciò riesce a fare in diversi lacerti della silloge Ivana Uras. Inutile scrivere: “struggenti parole”, ad esempio; lo struggimento devi metterlo nelle mie vene di modo che io divenga te stessa, autrice, e viva con te la tua avventura, quale che essa sia. Oggi c’è troppa declamazione, troppe parole, fatte le dovute notevoli eccezioni. Oppure un ungarettismo sterile dell’andare a capo a monosillabi. Extrema tanguntur.
Ivana Uras ha letto Ungaretti, ma ha appreso da lui il meglio (mi riferisco alle lame abbaglianti di alcune poesie ipometriche di “Porto sepolto” e “Allegria di naufragi”). Non è il rigo spezzato che fa la poesia, bensì la vibrazione della parola resa poetica dalla situazione e dal trasferimento che l’autore fa della sua anima nella nostra.

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