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La comunicazione nel Medioevo

La comunicazione nel Medioevo
Luglio 24
22:00 2013

Eleonora d’Aquitania tra giullari e menestrelliComunicare significa trasmettere un messaggio, gli uomini per loro indole avvertono la necessità di comunicare qualcosa. Gli antropologi illustrano già i primi segni degli uomini primitivi come espressione di un qualcosa di sé stessi, un messaggio per i posteri, in cui viene codificato un particolare importante. Infatti, per far sì che avvenga la comunicazione bisogna avere un emittente che è il nostro autore che vuole comunicare qualcosa, il messaggio e un destinatario. Naturalmente il messaggio deve essere trasmesso attraverso un canale e deve essere espresso con un codice decifrabile.

Se pensiamo alle prime incisioni ruprestri il simbolo è il nostro codice. Ma, come avveniva la comunicazione nel Medioevo? Quali erano i messaggi e quali i codici adoperati? Prima di rispondere a queste domande è fondamentale rilevare che nel Medioevo vi era un alto tasso di analfabetismo. La comunicazione, quindi, non poteva avvenire attraverso il canale della scrittura, altrimenti sarebbe stata destinata ad un pubblico ristretto. Il canale adoperato era l’intrattenimento in piazza, il codice, invece, era il canto in quanto orecchiabile. Il luogo scelto per comunicare era la piazza, ovvero, il luogo aperto a tutti, il centro della vita cittadina, un luogo in cui si aprivano gli scenari della vita e gli uomini seppur analfabeti potevano apprendere qualcosa. Un luogo, in cui si accendevano protagonismi e antagonismi, in cui chi tentava di catturare l’attenzione del pubblico si metteva in gioco con tutto sé stesso. Già nell’antica Grecia, la poleis, era il luogo in cui si svolgevano le attività riguardanti la vita sociale e anche nel Medioevo viene conservato quest’aspetto. In particolare, in piazza si svolgevano attività di fiera e di festa, i protagonisti principali erano chiamati i “giullari”. Faral, studioso medievalista, parla dei giullari, ovvero, di professionisti del divertimento, invece, Menédez Pidal, li cita, come «coloro che si guadagnavano la vita effettuando rappresentazioni di fronte ad un pubblico». Altri studiosi hanno definito questi professionisti della comunicazione medievale, elaborandone una definizione: «Giullare è parola di origine provenzale joglar, dal latino iocularis, che dà la forma indigena giocolare, sinonimo di giullare, attestato già nel Novellino e in Brunetto Latini» (C. Tagliavini, Le origini delle lingue neolatine); «G. s. m. nel tardo Medioevo, giocoliere e cantastorie che si esibiva per il pubblico delle piazze e delle corti (iullare: sec. XII Ritmo di S. Alessio; sec. XIII: giolare, Matasala, e, giullare, Guidotto da Bologna)» (M. Cortelazzo- P. Zolli, Dizionario Etimologico della lingua italiana, Zanichelli, Bologna 1980, voce Giullare, vol. 2\D-H). «G. joculator (giullare, jougleur) in cui è evidente la radice di jocus, gioco che identificherà anche nelle lingue germaniche il concetto di azione teatrale e di attore» (C. Molinari, Storia del teatro). I giullari si formano alla scuola dei chierici e della tradizione clericale, apprendendo l’arte difficile dell’elocuzione e la tecnica della versificazione e in particolare la musica (A. Viscardi, La letteratura d’oc e d’oil), poiché «solo la musica è in grado di coordinare e potenziare quell’altro potente strumento che il predicatore possiede per colpire i sentimenti dell’uditorio: il suo corpo. Le espressioni del volto, le lacrime, il riso, lo spavento, i movimenti di tutto il corpo, sanno ben comunicare quello che il predicatore vuol dire quando sono conformi ai temi e al tono del sermone». (C. Casagrande- S. Vecchio, L’interdizione del giullare nel vocabolario clericale del XII e XIII secolo, in Il contributo dei Giullari alla drammaturgia italiana delle origini ). In tutto questo scenario, però, arrivano anche i Cristiani, dapprima, attraverso gli ordini mendicanti e poi attraverso dei professionisti del teatro che mettono in scena vere e proprie rappresentazioni dette, appunto, “sacre rappresentazioni”. Frati come fra Mariano Fetti, che operò alla corte di Leone X, abbandonavano l’ordine a cui appartenevano, per diventare clerici vagantes, coloro che vagabondavano per le piazze del mondo, propagando la parola di Dio utilizzando l’arte dei menestrelli. (Cfr., T. Saffioti, I giullari in Italia, Lo spettacolo, il pubblico, i testi ). I Cristiani approfittano di questi momenti in cui si raduna la folla per diffondere i messaggi evangelici e per contrastare i messaggi satirici dei giullari. Le feste tipiche erano la festa dei folli e la festa dell’asino, accompagnate da fiere, in cui si esibivano varie categorie di intrattenitori, quali, gicolieri, giullari, mimi, mostri. Il tipo di linguaggio che si diffondeva in quei giorni, un “linguaggio di piazza” che costituiva una lingua a sé centrata al far ridere, caratterizzata da metafore del basso materiale corporeo. All’inizio dello spettacolo i giullari erano soliti citare «un componimento in cui il giullare esalta le proprie capacità di cantore, di suonatore, di versificatore, a volte anche abilità meno lecite» (Cfr.: S. D’Amico, Enciclopedia dello spettacolo). Questo canto di solito precedeva la rappresentazione al fine di invogliare il pubblico. In questo scenario i Cristiani scelgono di prendere un posto al fine di offrire al pubblico anche messaggi morali e spirituali. Narrano episodi della vita di Cristo, la sua passione e storie delle vite dei santi, da cui prende vita la dottrina dell’agiografia. Un tipo di messaggio che richiede un codice ricco di allegorie suggestive. Tutto il Medioevo è caratterizzato da una forte valenza allegorica ed è, quindi, un periodo carico di simboli, infatti, Jacques Le Goff lo definisce un “grande serbatoio di simboli“.

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