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La fissione nucleare compie 70 anni – 14

La fissione nucleare compie 70 anni – 14
Marzo 31
23:00 2009

Leo SzilardLe molteplici caratteristiche della fissione nucleare (seconda parte)

Una scoperta molto minacciosa. Nel gennaio 1939, parecchi scienziati provarono, per la prima volta nel corso della loro esistenza, un senso di terrore. Gravava sul mondo la pesante minaccia di una guerra. Pochi mesi prima si era già stai sull’orlo di un conflitto armato; ma l’atteggiamento rinunciatario delle democrazie alla Conferenza di Monaco aveva ancora una volta salvato la pace. Tuttavia il sacrificio non era stato sufficiente a fare diminuire la tensione. E proprio ora i pochi iniziati intravedevano il dischiudersi di una forma di energia e di potenza sovraumana.

Comunque – sia pure per poche settimane – fu ancora possibile difendersi con gli occhiali scuri dello scetticismo dalla prospettiva abbacinante e terrificante dello scatenamento di questa energia. Ancora all’inizio del 1939, Niels Bohr esponeva al suo collega Eugene Wigner a Princeton 15 motivi che, secondo lui, rendevano inverosimile uno sfruttamento pratico del processo di fissione nucleare. Einstein assicurò al giornalista americano W.L. Laurence, redattore scientifico del New York Times, di non credere alla liberazione della energia atomica. E Otto Hahn – così racconta il giovane fisico tedesco H. Korsching – avrebbe esclamato, mentre in una ristretta cerchia di colleghi si discuteva della applicazioni pratiche della sua scoperta: Ma Dio non può volerlo! Fino ad allora, tutti gli esperimenti di fissione nucleare erano stati condotti con quantità di uranio così esigue che la quantità di energia sviluppata non poteva non essere insignificante. Le speranze e i timori degli scienziati atomici avrebbero quindi acquistato un fondamento concreto soltanto il giorno che si fosse riusciti ad accrescere potentemente gli insignificanti effetti della fissione di un atomo, grazie ad un processo affine a quello dello staccarsi e precipitare di una slavina. Già negli anni tra il 1932 e il 1935, Szilard e Joliot-Curie avevano indicato come teoricamente possibile una tale reazione a catena, se, con la fissione di un nucleo di uranio, si fossero liberati neutroni in più, che avrebbero a loro volta scisso altri nuclei. Ora si trattava proprio di controllare e confermare questo punto decisivo; finché non si operava questo controllo, non sussisteva, come assicurava la maggior parte dei fisici atomici ai loro colleghi che già pensavano a ulteriori conseguenze, alcune reale motivo di preoccupazione.

Un esperimento solitario. Mentre dunque procedevano gli esperimenti, in cui con speranza e insieme con timore si studiava la possibilità di realizzare questa reazione a catena, se ne condusse uno quanto mai insolito, sul piano politico o meglio dello spirito. Ne fu promotore Leo Szilard, che nel frattempo era emigrato dall’Inghilterra agli USA. Non appena venne informato da Bohr e dal suo connazionale ungherese Wigner degli esperimenti di Berlino-Dahlem e Copenhagen, si fece spedire i suoi apparecchi di ricerca che erano rimasti a Oxford e si fece prestare da un industriale di New York, di nome Leibowitz, la somma di $ 2000 per potere affittare un grammo di uranio. Dato che Szilard non aveva ancora alcun incarico universitario negli USA, trovò ospitalità presso il Laboratorio di Fisica della Columbia University, a New York. Dopo appena tre giorni, i suoi esperimenti parvero indicare la possibilità che i neutroni emessi dal processo di fissione fossero ben più di due: allora, con ancora più angoscia, Szilard ebbe a chiedersi che cosa sarebbe mai avvenuto, qualora questi esperimenti fossero stati intrapresi e riusciti in Europa, dove senza dubbio si era già al lavoro. La sua mente acutissima precorse ancora una volta gli eventi ed egli pronosticò con terrificante chiarezza una corsa agli armamenti atomici.

La proposta di una autocensura volontaria. Bisognava agire! Uno dei primi con cui Szilard ebbe uno scambio di idee fu Enrico Fermi: costui lavorava anch’egli alla Columbia University, nello stesso edificio di Szilard, soltanto alcuni piani più in basso, studiando insieme al giovane fisico americano Herbert Anderson, il problema della emissione di neutroni da parte della fissione nucleare. L’idea di una autocensura volontaria degli scienziati, proposta dal fisico ungherese, non piacque davvero a Fermi: non era forse appena fuggito da un paese dove la censura e l’imposizione del segreto paralizzavano il beneficio degli scambi intellettuali? Non molto incoraggiante fu anche la eco che la proposta di Szilard trovò presso gli altri colleghi scienziati. Soltanto tre fisici si dichiararono fin dal principio d’accordo con lui: Eugene Wigner, che già da 10 anni lavorava a Princeton; Edward Teller, che dietro raccomandazione del suo amico George Gamow, un fisico emigrato russo, era stato accolto nel 1935 alla George Washington University nella capitale degli USA; e Victor Weisskopf, che da poco aveva lasciato Copenhagen accettando l’invito della Università Rochester nello stato di New York. I quattro uomini non si lasciarono influenzare dalla obiezione che per secoli la scienza si era battuta per il libero scambio delle idee e che mai, perciò, si sarebbe dovuto sostenere il principio opposto. Per tutta la loro vita, erano stati sostenitori di principi di libertà e avversari dichiarati del militarismo, ma ora si doveva, a loro avviso, tenere conto di una situazione tutta particolare.

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