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La fissione nucleare compie 70 anni – 5

La fissione nucleare compie 70 anni – 5
Luglio 18
02:00 2008

Reactor team dell’Università di Chicago. Fila dietro, da sinistra: Norman Hilberry, Samuel Allison, Thomas Brill, Robert Nobles, Warren Nyer e Marvin Wilkening. Fila centrale: Harold Agnew, William Sturm, Harold Lichtenberger, Leona Marshall e Leo Szilard. Fila davanti: Enrico Fermi, Walter Zinn, Albert Wattenber e Herbert AndersonIn prossimità del Natale 2008, ricorre il 70esimo anniversario della scoperta della fissione nucleare da parte dei fisici Lise Meitner e Otto Frisch sulla base di dati sperimentali forniti dai chimici Otto Hahn e Fritz Strassmann. Controluce intende fornire un collage di scritti di autori vari che hanno narrato fatti e contorni di questa appassionante vicenda che ha cambiato la storia del mondo. I compilatori della raccolta, che uscirà in puntate mensili, sono Nicola Pacilio, docente di fisica dei reattori nucleari a Berkeley (California, USA) e Fabrizio Pisacane, ingegnere nucleare e ricercatore ENEA.

L’idea geniale di Leo Szilard

Lo studente errante. Nato due anni prima della fine del secolo, l’ungherese Leo Szilard ben presto aveva provato di persona gli effetti degli sconvolgimenti politici. Dopo appena un anno di studi all’Istituto tecnico superiore di Budapest, era stato richiamato alle armi. Già allora la guerra si metteva assai male per la Triplice, ma gli ufficiali continuavano ad addestrare le loro reclute con la stessa durezza degli anni delle grandi parate per l’imperatore. Essi inculcarono in Szilard una tale avversione per tutto ciò che era militare, che ancora una trentina di anni più tardi, a un reporter americano che gli domandava quale fosse il suo hobby, egli rispose: lottare contro la meschinità mentale dei militari. Le settimane del terrore rosso sotto Béla Kun, e i mesi di terrore bianco che seguirono sotto Horthy, costrinsero Szilard a recarsi a Berlino. Qui, dapprima si iscrisse alla Technische Hochschule di Charlottenburg e l’anno seguente all’Università. Sotto l’influenza di Einstein, Nernst, von Laue e Max Planck, che a quel tempo insegnavano e lavoravano tutti nella capitale del Reich, Szilard abbandonò l’idea di diventare ingegnere e passò alla fisica teorica. Assistente di Max von Laue, poi libero docente e collaboratore del Kaiser Wilhelm Institute, il vivace geniale giovane scienziato si fece presto un nome nell’ambiente degli specialisti.

Fuga a Vienna, poi a Londra. Quando Hitler salì al potere, Szilard si rifugiò a Vienna. Ma con la sua spiccata facoltà di prevedere il futuro in base ai dati di fatto del presente, intuì che presto o tardi anche l’Austria sarebbe stata travolta dal nazismo. Restò quindi soltanto sei settimane a Vienna; poi emigrò in Inghilterra. Nell’autunno del 1933, Lord Rutherford, al congresso annuale della British Association, tenne un discorso in cui affermò che coloro che andavano parlando della possibilità di liberare energia atomica su vasta scala, parlavano alla luna.
Ricorda Szilard: ciò mi fece riflettere e nell’ottobre del 1933 mi venne improvvisamente l’idea che si potesse riuscire a ottenere una reazione a catena, qualora si fosse trovato un elemento che, bombardato con neutroni, ne inghiottisse uno, ma a sua volta ne espellesse due. In un primo momento pensai così al berillio, poi ad altri elementi, finalmente all’uranio, ma per una ragione o per l’altra non compii mai l’esperimento decisivo.
Szilard – è vero – non condusse allora esperimenti diretti; ma con il suo spirito di pratico sognatore, cominciò a riflettere su quale sarebbe stata la reazione dei politici, degli industriali e dei militari, se veramente si fosse un giorno riusciti a produrre energia atomica.
Sì, ancora nessuno era riuscito a penetrare nei nuclei atomici pesanti, per rendere utilizzabile l’energia in essi celata. Ma erano ormai tanti gli scienziati che con i loro team lavoravano a questi problemi, che la soluzione non poteva essere lontana. E se questa scoperta che sembrava campata in aria venisse realizzata davvero, allora le autorità e gli interessi costituiti certamente non sarebbero più restati indifferenti. E gli scienziati non dovevano tenere conto fin d’ora di questa opportunità?

La prematura proposta di Leo Szilard. Partendo da tali riflessioni, già nel 1935 Szilard si rivolse a vari scienziati atomici chiedendo loro se non fosse opportuno, in previsione di conseguenze vaste e forse anche pericolose, non pubblicare in futuro i risultati delle ricerche, almeno provvisoriamente. La proposta incontrò una generale opposizione: per il momento non si vedeva davvero come si sarebbe potuta espugnare la fortezza dell’atomo e Szilard veniva già a parlare di che cosa si doveva fare della preda! Risultato di questa prematura proposta, fu che egli si fece la fama di pensare sempre al terzo e quarto passo, quando c’era da compiere ancora il primo e il secondo.
Eppure queste fantasiose prospettive davano già da pensare ad altri scienziati. Paul Langevin, che tanto fece in quegli anni per i profughi del Terzo Reich, cercò di consolare uno studente di storia fuggito dalla Germania con parole alquanto insolite: Lei la prende troppo sul tragico – disse – Hitler ? Come tutti i tiranni, prima o poi si romperà l’osso del collo. Mi preoccupa assai di più qualcosa di altro. Qualcosa che, se cade in mano di chi non dovrebbe, può essere per il mondo molto più pericoloso di questo effimero pazzo. Qualcosa di cui noi non ci possiamo più sbarazzare: il neutrone.

La scoperta del neutrone. Non a caso la scoperta del neutrone era avvenuta proprio nel laboratorio di Rutherford a Cambridge. Al congresso di fisica tenuto a Zurigo nel 1931, la notizia data dai tedeschi Walther Bothe ed il suo studente H. Becker, e cioè che bombardando il berillio con particelle alfa, essi avevano scoperto una radiazione molto forte, ma non meglio decifrabile, aveva destato la massima sensazione. Subito, in tutti i paesi, gli scienziati tentarono di ripetere l’esperimento, per indagare la natura di questa radiazione. Frédéric Joliot-Curie e sua moglie Irène Curie risolsero parzialmente l’enigma. Appena un mese dopo che essi avevano resi noti i loro risultati, Chadwick, che dietro incoraggiamento di Rutherford aveva lavorato senza sosta intorno al problema, annunziava che si trattava di neutroni. La loro esistenza era stata predetta dal suo maestro già 17 anni prima.

L’uso dei neutroni come proiettili per penetrare nei nuclei atomici. I risultati più interessanti della ricerca sull’uso dei neutroni, a partire dal 1934, venivano da Roma, che Enrico Fermi, allora appena poco più che 30enne, rese per alcuni anni la capitale mondiale della fisica. Già i suoi primi lavori avevano destato grande sensazione, soprattutto nella nuova generazione di fisici, i quali venivano a Roma quasi in pellegrinaggio per conoscere questo italiano che, nonostante la sua giovanile sportività, era degno della più alta considerazione. Ed egli non li deludeva. È significativo quando Hans Bethe, il discepolo-modello di Arnold Sommerfeld, scrisse da Roma al suo maestro: Naturalmente ho visitato il Colosseo e l’ho ammirato, ma la cosa più splendida che ci sia a Roma è senza dubbio Fermi. È prodigioso come egli riesca a vedere immediatamente la soluzione di qualsiasi problema. Quando Curie, nel 1934, rese noti con la sua definitiva comunicazione alla Acadèmie des Sciences, i successi riportati nella produzione di elementi radioattivi artificiali, Fermi si era appena rimesso da una grossa delusione. Il suo ultimo lavoro, quello sui raggi beta, era stato respinto dalla più importante di tutte le riviste scientifiche, la londinese Nature. Ora, per consolarsi, volle dedicarsi a esperimenti pratici del tipo di quelli compiuti da Joliot. Il papa – come lo chiamavano i suoi collaboratori, ancora più giovani di lui – decise però di adottare, invece dei raggi alfa impiegati dal francese, il nuovo e più potente proiettile, il neutrone. Questo ultimo era una particella altamente penetrante, nell’ambito dei campi elettrici colombiani all’interno del nucleo bersaglio, perché elettricamente neutra e quindi non respinta da quelle forze. Durante questi esperimenti, Fermi e collaboratori fecero due importanti scoperte.

Le due scoperte di Fermi: una autentica e decisiva, l’altra erronea e fuorviante. In primo luogo, Fermi, e i ragazzi di via Panisperna, giunsero alla sorprendente constatazione che la radioattività di un metallo bombardato con neutroni era 100 volte maggiore se i neutroni, prima dell’urto con il nucleo, venivano rallentati in paraffina o acqua (una supposizione che trovò la sua prima conferma nella romantica fontana con pesci rossi dietro l’edificio dell’Istituto di Fisica). In secondo luogo, essi scoprirono che bombardando l’uranio, il più pesante di tutti i metalli, si ottenevano uno o forse due nuovi elementi, i cosiddetti transuranici artificiali ancora più pesanti dell’uranio. La prima scoperta risultò in seguito giusta e decisiva per gli ulteriori sviluppi della fisica atomica (vedi pile e reattori nucleari). La seconda si rivelò errata e fuorviante, tanto da mandare in crisi i laboratori nucleari di tutto il mondo per un lungo periodo di quattro anni, vale a dire fino al Natale 1938, quando i fisici Lise Meitner e Otto Frisch riconobbero nei dati sperimentali dei chimici Otto Hahn e Fritz Strassmann gli estremi caratteristici per la scoperta di un nuovo fenomeno nell’ambito della fisica atomica di quel periodo: la fissione nucleare.

Le macchine disintegratici e il lento neutrone senza carica elettrica. Dopo i primi tentativi di Rutherford, la artiglieria degli assedianti del nucleo atomico era cresciuta in potenza e varietà. Soprattutto negli USA, erano state costruite macchine disintegratici come i generatori Van de Graaff e ciclotroni già capaci di accelerare particelle, impiegate come proiettili, fino ad una energia di penetrazione di 9 milioni di volt. Eppure anche esse avevano soltanto scalfito, ma non infranto, la muraglia protettiva che la natura ha costruito intorno a quel potente deposito di energia che è il nucleo dell’atomo. L’idea che i neutroni, sprovvisti come sono di qualsiasi carica elettrica, potessero riuscire a compiere quello che non era riuscito a proiettili dotati di ben altra quantità di moto, era troppo fantasiosa per potere essere presa in seria considerazione. Equivaleva a proporre un battaglione, che dopo avere bombardato un bunker con calibri pesanti, di tentare la sorte con palline da ping-pong. Meglio ancora si potrebbero però paragonare i neutroni a guastatori che si insinuano nel nucleo grazie a una sorta di mimetizzazione. Questo è quanto si conosce di balistica convenzionale e nucleare. Se si pensa alla circostanza per cui neutroni lenti sono più efficaci di quelli veloci nell’indurre reazioni di fissione, il discorso si fa talmente più complesso da rendere questa sede (e questa puntata) ancora non adatta per comprensibili considerazioni di natura fisica.
(Robert Jungk, Gli apprendisti stregoni. Storia degli scienziati atomici, Piccola Biblioteca Einaudi, 1958)

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