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LA SOSTENIBILITA’ DEVE ESSERE UNA RIVOLUZIONE CULTURALE

LA SOSTENIBILITA’ DEVE ESSERE UNA  RIVOLUZIONE CULTURALE
Dicembre 06
15:59 2021

Ma abbiamo capito che tamponare non basta? Per uscire veramente dalla crisi dobbiamo cambiare modello di sviluppo e progettare il futuro.

La sostenibilità deve essere una rivoluzione culturale. La sostenibilità è un “sistema complesso”, e implica la formazione di persone capaci di sviluppare visioni d’insieme. Più si andrà avanti e più questi problemi diventeranno di difficile gestione, soprattutto dal punto di vista demografico. L’ipotesi più accreditata sulla crescita della popolazione mondiale al 2050 è di 9,7 miliardi di persone. Riteniamo che oggi siamo in grado di avere un’autentica sostenibilità con otto miliardi di persone? Pensiamo di poterci riuscire con 9,7 miliardi nel 2050? Quanto tempo abbiamo per reindirizzare il nostro percorso ed evitare una crisi climatica con conseguenze catastrofiche? Definire un percorso vuol dire scegliere scadenze, selezionare i mezzi e gli strumenti necessari a rispettarle, strutturare azioni che possano dare un corso alle intenzioni.

Per modificare il modello di sviluppo verso la sostenibilità è necessario modificare il nostro modo di pensare e agire. Una strada percorribile è quella di rivedere i modelli di consumo e di produzione quali due facce della stessa medaglia della nostra società, in modo tale che entrambi vengano finalmente orientati verso obiettivi di sostenibilità e tutela dell’ambiente. Un modo per invertire quanto finora ha segnato la realtà come la conosciamo: a tanto sviluppo incontrollato corrispondono tanti rifiuti. Inoltre, per giungere a un’economia che abbia nel riciclo e nella circolarità le sue direttrici, è necessario affiancare delle riforme e dei correttivi che ne favoriscano l’adozione per una vera Transizione Ecologica.

Sembra che di questi temi non se ne possa dibattere con il grande pubblico, come se fossero oggetto di discussione solo tra esperti del settore. Ogni giorno gran parte dei media ci informano che mentre da una parte abbiamo un livello insopportabile di disoccupazione giovanile, dall’altra non si trova manodopera qualificata e preparata per le nuove manzioni di oggi e del futuro prossimo. Si parla molto di PNRR, per poi dire subito che le Amministrazioni Pubbliche non hanno personale preparato. Ma chi lo dovrebbe preparare? Molti asseriscono di occuparsi di “istruzione di qualità“. Ma siamo sicuri che la scuola italiana oggi si occupi di preparare le professionalità richieste dal mercato del lavoro? Anche basare la scelta delle materie da insegnare a scuola sulle richieste del  mercato del lavoro oggi è un errore. Ma allora cosa fare? Proviamo a dibatterne mettendo al centro un’idea di futuro. Proviamo a mettere in sinergia il sistema di istruzione, quello universitario e il mondo del lavoro.  

Appena il Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani ha provato a sollevare il problema della carenza delle professionalità richieste dal mercato, in una nota trasmissione televisiva, è successo un putiferio. Vedere Youtube https://www.youtube.com/watch?v=uET38qUcedc
Sono 21 minuti, la ricetta può piacere o meno. Chiediamolo a coloro che oggi sono disoccupati. Chiediamolo agli studenti, i veri protagonisti della scuola.

Secondo il Rapporto Unioncamere “Previsione dei Fabbisogni Occupazionali e Professionali in Italia a medio termine (2021 – 2025) – Scenari per l’Orientamento e la Programmazione della Formazione” 6 lavoratori su 10 entro il 2025 dovranno avere competenze digitali e green. Sono le previsioni del Sistema informativo Excelsior di Unioncamere e Anpal, delineate alla luce dei fabbisogni espressi dalle imprese per il medio termine 2021-2025, link: https://excelsior.unioncamere.net/

Un vero Sviluppo Sostenibile ha bisogno non soltanto di risorse e tecnologie, ma anche di competenze adeguate e una cultura nuova, che verrà incarnata soprattutto dai giovani, per natura “portatori sani” d’innovazione. Entro il 2025, ci dice l’indagine, 6 lavoratori su 10 dovranno avere competenze green o digitali. Nei prossimi cinque anni, infatti, il mercato del lavoro avrà bisogno di almeno 2,2 milioni di nuovi lavoratori in grado di gestire soluzioni e sviluppare strategie ecosostenibili (il 63% del fabbisogno del quinquennio) e di 2 milioni di lavoratori capaci di utilizzare il digitale (il 57%). La spinta verso la transizione verde farà emergere la necessità di specifiche professioni come, ad esempio, il progettista in edilizia sostenibile, lo specialista in domotica, tecnici e operai specializzati nell’efficientamento energetico nelle costruzioni; il certificatore di prodotti biologici nell’agroalimentare; il progettista meccanico per la mobilità elettrica.

Ma la sostenibilità, come la cultura digitale, non è solo questione di competenze: è anche un modo di pensare e una visione, una forma di educazione prima ancora che di formazione. Il paradosso di tutto questo è che se oggi dovessimo davvero fare una previsione sul futuro del lavoro, dovremmo scommettere sul fatto che avremo un enorme bisogno di tutti quei lavori che l’automazione non potrà fare; che poi sono spesso lavori che riteniamo oggi “di serie B” perché hanno a che fare con la cura – infermieri, badanti, … – o hanno un aspetto “vocazionale” – agricoltori, artigiani, …..

Allora che fare? Non c’è una risposta univoca. Lo Sviluppo Sostenibile è un problema complesso, che va affrontato ripensando insieme la scuola e il mercato del lavoro, con una idea di futuro che meriterebbe di essere al centro del dibattito pubblico. Siamo un pò tutti impegnati a difendere interessi personali. Impegnarsi a progettare un futuro possibile sarebbe una rivoluzione urgente da fare. Anche basare la scelta delle materie da insegnare a scuola sulle richieste delle grandi aziende oggi sul mercato del lavoro è un errore di prospettiva. Perché formare persone – specie in materie specialistiche – richiede anni, e non c’è alcuna garanzia che per allora le richieste delle imprese saranno le stesse; anzi. Rischiamo di illudere e confondere di nuovo una generazione per la nostra incapacità di immaginare il futuro se non come proiezione del presente. Non siamo pronti a fronteggiare l’attuale velocità di cambiamento del mondo del lavoro, e di conseguenza a fronteggiare la necessaria evoluzione del sistema educativo.
 

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