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L’armonia in Canova, Caravaggio e Barbery – 2

Gennaio 10
23:00 2011

Se nel Canova l’arte è pathos, perfezione, armonia di forme e contenuto, «dare la luce al buio», rischiarare i volti e le figure nelle sue opere è l’intenzione di Michelangelo Merisi, in arte Caravaggio, di cui quest’anno ricorre il quarto centenario della morte, in onore del quale era stata allestita una mostra alle Scuderie del Quirinale con sole ventiquattro tele, quasi la metà di quelle di cui è certa l’attribuzione. In alcune opere caravaggesche la bellezza dei volti è accostata alla bruttezza di altri che rendono la pittura raccapricciante, per l’orrore che deriva dall’azione di violenza estrema.

Ne sono un esempio nella Flagellazione di Cristo i tratti bestiali del balordo alle spalle di Gesù, oppure in Giuditta e Oloferne le fattezze della serva sulla destra che accentuano le storture e le rugosità tipiche della vecchiaia; si tratta in ogni caso di emozioni umane forti quali l’odio, l’ira, il risentimento. Secondo l’ottica del Caravaggio, è proprio nel rappresentare le cose e le emozioni nella loro naturalezza che si diviene abili pittori capaci di guardare la realtà in modo diretto. Infatti era consuetudine, tra gli artisti tardo rinascimentali, frequentare le botteghe per apprendere il mestiere dello scultore o del pittore, ma Caravaggio stravolse questa impostazione accademica, per raffigurare la realtà come si presentava ai suoi occhi. L’elemento fondamentale delle sue opere è il fascio di luce che delicatamente attraversa il paesaggio riprodotto, per illuminare violentemente solo ciò che l’artista voleva sottolineare, lasciando le parti in ombra appena abbozzate, per non distogliere lo sguardo dello spettatore, che rimane ancor oggi affascinato dalla quantità di dettagli così perfetti, così reali, da suscitare nel suo animo un groviglio di emozioni tali da rischiare di poter essere colto con facilità dalla sindrome di Stendhal, come è successo per due visitatori durante la mostra a Roma. Le tecniche usate dal Caravaggio sono innovative: egli si serve di modelli dal vero, con i quali ricrea situazioni reali, rappresentate a grandezza naturale, poste in un luogo buio e illuminate da una forte sorgente di luce. Oltre alle scene di vita quotidiana e i soggetti sacri, Caravaggio ama dipingere nature morte, la più celebre delle quali, La canestra di frutta, appartenente alla Pinacoteca Ambrosiana di Milano e riferibile al periodo di apprendistato nella bottega del Cavalier d’Arpino, è pervasa da una luce calda, radiosa proveniente dall’alto che illumina uno sfondo dorato, che determina gli effetti pittorici e cromatici, per ricordarci come la presenza di Dio sia sempre su di noi. Non va dimenticato che queste opere erano destinate a uomini di chiesa e che il Merisi vi inseriva sempre il messaggio cristiano. Posta su un piano indefinito, come potrebbe essere uno scaffale o un tavolo, la canestra si presenta leggermente pronunciata in avanti a sottolineare, con i suoi frutti imperfetti, la vanitas umana. Al di là dei simboli cristologici dell’uva nera, che indica il sacrificio, e dell’uva bianca, che indica la resurrezione, i pomi intesi come frutti di Grazia o del peccato, quelli bacati dinanzi a quelli freschi stanno a indicare la caducità della vita insieme alle foglie secche e accartocciate; il gioco sottile del chiaroscuro ne evidenzia la rotondità, il volume, mettendo in risalto perfino la patina caratteristica degli acini dell’uva. Il contrasto fra la luminosità e le ombre fa sì che la luce penetri negli intrecci di vimini ed è proprio la ricerca della perfezione che conferisce all’intero dipinto quella sensazione di realismo come se si stesse osservando un’immagine fotografica. Negli altri dipinti in cui è presente la canestra di frutta, ad esempio in Bacco oppure nella Cena in Emmaus o ancora nel Ragazzo con canestra di frutta, – la tela proviene dal gruppo di opere che nel 1607 furono confiscate al Cavalier d’Arpino, dopo l’incarcerazione seguita all’accusa pretestuosa di possesso illegale di alcuni archibugi – solo in quest’ultimo la cesta contiene frutta fresca autunnale, quasi a sottolineare la floridezza del volto del giovane, che i critici hanno individuato nell’amico intimo del Caravaggio, Mario Minniti, il primo tra i modelli a entrare nelle sue opere. Anche altre fonti lo descrivono come un bel ragazzo, ma qui l’Artista ne accentua l’aspetto sensuale con la bocca dischiusa nell’atto di cantare un motivo; ne è la prova il rigonfiamento del collo e la spalla scoperta che gli conferiscono l’aspetto sognante e una sessualità dai contorni ambigui, una velata allusione nell’offrire se stesso insieme ai frutti di Madre Natura.

(Continua)

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