L’arte di Laportella
La costante di simmetrie che ricorrono nelle immagini catturate da Giuliana Laportella, interagendo con ponderate esposizioni sugli effetti di luci, spesso giocati sulle tonalità dei grigi, denotano un’acquisizione degli spazi attraverso un occhio poetico, capace di rielaborare labirintici flussi generando una prospettiva interiore, quella dell’anelito per un istante perduto. Un istante evocato, che mira al dettaglio evidenziando, oltre quanto rappresentato, la panoramica di un divenire in esso contenuto. Genova è dunque sì dettaglio di scorcio per linee interposte tra viadotti e soprastanti opifici, ma ancor prima anima pulsante eclissata nel permanere di un fuggevole momento, poiché altrimenti non sarebbe possibile trattenerlo. Arte, dunque, consapevole e non artifizio volto a volubile ricerca dell’effetto sinestetico, che non prescinde dall’installazione in quanto mezzo espressivo, trovando compimento della sua contemporaneità in una consolidata tradizione, a partire dalle tecniche utilizzate. Altrove, punti di fuga colti dal basso, come nel caso di Parigi, divengono ombra, l’analogo che si riflette; è emblematico un periferico intonaco cadente e perpendicolare ad un soggetto sdoppiato, per ritrovare un sapore da nouvelle vague dietro l’angolo su quanto immortalato. Quel che producono lampioni e luci con le loro consonanze, viene riproposto con bicchieri e più lunghi tempi di posa delineati da un fondo tavola di bistrot, un’inquadratura che assume dimensioni e gusto quasi rinascimentale nel vuoto esistenziale del personaggio che ne viene ritratto. Lo stesso dato esistenziale diviene qui proiezione verso altro dal sé, in grado di ricondurre a un presente perduto, poiché la percezione d’entità del passato persiste ravvisabile dietro l’obiettivo nella confluenza con quanto, nell’immanenza di un tempo già immaginifico del proprio futuro, s’intende frugare più avanti. L’uso del bianco e nero è di prassi in un simile impianto, dove a tratti sopraggiungono anche ieratiche figure dissimulate nel contesto di ottiche visive, come quella dell’imperatore che investe la platea, intermediario e demiurgo proteso verso ulteriori mondi per altrettanti destini che cielo e luce infondono, o dello stesso Mao Tse tung, ripreso col suo ritratto allineato dietro la visuale di una statua equestre. L’autrice, dopo aver collaborato per diversi anni col poeta romano Vito Riviello ed essersi occupata di teatro e cinema nell’ambito della scenografia, dal 2009 si cimenta con installazioni “videofotografiche”, forma di ricerca nella contaminazione di tecniche, un’apertura al digitale che ha ancora tutto il gusto dei più datati processi chimici della camera oscura che mai, a dire il vero, Giuliana sembrerebbe intenzionata ad abbandonare del tutto.
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