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Le navi di Nemi alla luce di nuove ricerche

Le navi di Nemi alla luce di nuove ricerche
Dicembre 13
14:40 2020

Sul numero gennaio-marzo 2020 della rivista Lazio Ieri e Oggi, compare un interessante contributo dal titolo “Le due navi romane di Nemi e l’iscrizione delle res traditae fanis utrisque” di Alberto Silvestri, storico delle antichità e ricercatore indipendente. L’articolo getta nuova luce sull’aura di mistero che avvolge da sempre le navi di Nemi, fomentata periodicamente dalle più suggestive ipotesi, sino a quella dell’esistenza di una terza nave ancora giacente sul fondo del lago. I deludenti risultati della ostinata ricerca di questo improbalibe terzo reperto erano peraltro attesi dall’autore dell’articolo in questione che, già nel 2005, con la pubblicazione della monografia dal titolo “Le Erme Bifronte di Aricia. Ippolito-Virbio e i riti arcaici di iniziazione”, aveva notato una stretta correlazione tra le due navi romane recuperate nel bacino lacustre e una iscrizione, rinvenuta sulle sue rive, che elencava le cose consegnate a due luoghi sacri (res traditae fanis utrisque), anch’essi inutilmente cercati all’interno del santuario di Nemi. L’iscrizione menzionava infatti le ermette bifronti che coronavano i pilastrini della balaustra bronzea venute alla luce nel recupero della seconda nave (cancelli aenei cum hermulis n. VIII intro et foras), ora conservate presso il Museo Nazionale Romano. Partendo da questo dato, Silvestri sviluppa una tesi che va ben al di là della suggestiva ipotesi, peraltro suffragata da un approfondito studio di Maria Cristina Vincenti sui culti orientali, tra cui quelli presenti nell’area del nemus Aricinum, che focalizza l’attenzione su un altro fondamentale elemento. Al primo rigo dell’elenco, e quindi in ordine di importanza, l’iscrizione riporta la menzione di 17 signa, interpretati genericamente come statue. Quest’ultimi andrebbero però riconnessi, vista la mancanza di statue tra gli arredi delle due navi, con i Grandi Bronzi (testa di medusa, protomi feline e di lupo, avambracci con mano aperta)  provenienti in gran parte dal recupero della prima nave e anch’essi conservati presso il Museo Nazionale Romano. La menzione infine di Bubasto, la dea egizia identificata sin dai tempi di Erodoto con la greca Artemide (la nostra Diana), permette di formulare un’ipotesi sulla funzione delle navi, verosimilmente adibite a una sorta di riproposizione della grande festa della dea che aveva luogo presso la città omonima di Bubastis, sede del suo edificio templare circondato da un lago. Tale tesi sarebbe peraltro supportata dal ritrovamento, lungo il tratto ariccino della via Appia Antica, di una lastra marmorea con scene egizie, oggi conservata a Palazzo Altemps. L’iscrizione ci illustra dunque i due santuari galleggianti attraverso l’elenco delle loro dotazioni permanenti per lo svolgimento del culto, aprendo un nuovo scenario di indagine su un sito troppo spesso analizzato entro il suo attuale ambito territoriale.

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