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Le “Parole della politica” – 2/8

Gennaio 10
23:00 2011

Nel suo essere infinitamente mutevole, la politica ha una sua storia dall’antichità fino ai nostri giorni. Il prof. Galli ha presentato un excursus filosofico inerente ad una serie di definizioni della parola “politica”, rese da filosofi illustri come Platone (428-360 a.C.), per il quale la politica è “arte regia” o “arte del tessere” o del “guidare la nave”, dell’esser timoniere; Aristotele (384-322 a.C), che la definisce come una “qualità intrinseca dell’essere uomo” – “chi non è uomo politico non è un uomo: o è un Dio o è una bestia”; Macchiavelli (1469-1527), secondo cui la politica è la sfida del soggetto contro l’insensatezza della condizione umana; Pascal (1623-1662), secondo cui è follia; Napoleone (1769-1821), il quale sostiene che la politica è il destino; Hegel (1770-1831), per il quale essa è la dimensione in cui si rende concreto lo spirito oggettivo.

Si fa notare come ciascuna di queste definizioni solo all’apparenza pretenda di definire la politica in modo univoco; in realtà ciascuna di esse rinvia a una complessità; sottolinea come essa sia oggettiva, ma non sia un oggetto; non è un’essenza, ma tuttavia qualcosa di ineludibile che appartiene alla nostra umanità: una crisi della politica corrisponde in effetti ad una crisi del pensiero, della parola, della consapevolezza; è una crisi di valori morali, dei soggetti e del modo di fare politica, dunque delle istituzioni rappresentative di essa. Il potere politico può quindi contribuire a de-formare le nostre vite, generando una situazione di insicurezza e di disordine. Il prof. ha confrontato infine il metodo della politica attuale, che fa prevalere la segretezza rispetto al discorso pubblico, con quella dell’antichità, a partire dall’epoca di Gorgia (485-375 a.C.), creatore della retorica quale arte del persuadere, quando essa era l’equivalente di un discorso che non serviva per trasmettere concetti e verità, ma semplicemente per manipolare l’uditorio. Proprio in questa trasformazione egli ha visto il punto di inizio dell’antipolitica, di cui ha ricordato la nascita in Francia, nello stesso anno in cui il filosofo politico britannico Thomas Hobbes pubblicava il Leviatano affrontando il problema della legittimità e della forma dello Stato. Il concetto di antipolitica viene poi ripreso in Inghilterra nel momento del confronto con la Rivoluzione Francese, nel 1790-91; ricompare in Italia nel pieno dei moti risorgimentali, intorno al 1849. Nella sua accezione originaria il termine indicava la posizione di chi è “contrario alla buona politica”, che rifiuta, dunque, il modo di fare della politica. Oggi, invece, il termine si riferisce a colui che è contrario alla politica in generale: l’accezione, intesa in senso negativo, indica una posizione di estraneità o indifferenza, la fuga da qualcosa che semplicemente non si comprende più. Il prof. ha ricordato il filosofo e politico romano Seneca (4 a.C.-65 d.C.) autore del De otio come l’esponente più rappresentativo di questo rigetto. Tuttavia nel suo ritiro dalla vita pubblica il prof. ravvisa un atto di grande significato, nel segno di una critica della politica ufficiale. È impossibile essere antipolitici: frutto dell’insoddisfazione per un modello di civiltà, le posizioni che si dichiarano essere tali non per disattenzione, pigrizia o critica aprioristica, sono un modo per custodire il senso autentico e la vera ragione della pratica politica.

(Continua)

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