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Le parole della politica – 8

Novembre 07
08:58 2011

Alessandro Campi, docente di Storia delle dottrine politiche, affronta il tema del rapporto tra “nazionale” e “globale” nel suo libro “Nazione”analizzando innanzitutto l’origine latina del termine “nazione” (“natio-nis”, nascere, essere generato, venire al mondo, discendere da una comune linea di sangue, da un’unica schiatta) e ricordando alcuni dei principali significati che il termine ha assunto nel corso della storia. Durante il Medioevo le “nationes” erano associazioni studentesche e mercantili, corporazioni basate sulla mutua assistenza di studenti e mercanti; non ancora di tipo politico, bensì territoriali. L’idea della “nazione” intesa come collettività omogenea, cosciente della propria tradizione etnico- culturale e autonomia politica, cominciò ad affermarsi pian piano ancora prima del Rinascimento, quando il continente era ancora molto frammentato. Il concetto si inserì per la prima volta in un contesto politico con l’avvento della Rivoluzione Francese; nel corso dell”800 la parola cominciò a generare varianti lessicali che avrebbero avuto un peso nel successivo dibattito ideologico e politico. Campi sottolinea poi il significato del termine “nazionalismo” ricordando un’accezione dapprima naturalistica come esaltazione romantica del concetto di nazione, poi Il senso positivo dell’unità nazionale utilizzato dal patriota Giuseppe Mazzini conil termine “nazionalitarismo”: l’aggettivo “nazionalitario”, attinente al principio di nazionalità nel senso dell’appartenenza a una nazione, associava i principi del nazionalismo a un’azione sociale comunitaria. A ciò fece però seguito la nascita di diversi nazionalismi di stampo liberal-democratico, ma soprattutto l’affermazione autoritaria di valori che oltrepassavano le reali esigenze della realtà sociale e politica: il “nazionalsocialismo”, nato col pretesto di conciliare le esigenze sociali con quelle nazionali, si tradusse in un nazionalismo esasperato, in quel sistema di governo tedesco che dal 1933 al 1945 perseguì una politica espansionistica, retriva, antidemocratica e razzista. Durante uno degli incontri tenutisi l’estate scorsa su “Le parole della politica” a Palazzo Valentini, il prof. Campi aveva ricordato a riguardo la sconfitta della genuina “nazione” dei primi nazionalisti con la seconda guerra mondiale, cui fece seguito l’evento sovietico: al breve periodo della Repubblica Russa dal 17 marzo 1917 alla rivoluzione d’ottobre dello stesso anno, seguì la cosiddetta “repubblica di soviet”, che Lenin ritenne essere l’unica istituzione capace di assicurare la transizione dallo zarismo al socialismo. Al di là dell’evoluzione e dell’involuzione come del processo degenerativo dell’idea di nazione, Campi sottolinea il nesso vincolante tra nazione e democrazia: la prima è la forma politica vincolante perché la democrazia, e dunque la sovranità nazionale, si possa sviluppare. Dal nazionale al sovranazionale il passo è breve: la democrazia europea dovrebbe garantire quei principi fondamentali e basici per i quali, invece, lascia ancora molto a desiderare. Del resto, le economie nazionali hanno ancora una capacità maggiore rispetto a organismi sovranazionali; questioni come quella inerente alle pensioni riguardano necessariamente gli Stati nazionali dal momento che esse vengono pagate dallo Stato e non dall’Unione Europea. Se per un verso, gli stati nazionali sono succubi delle multinazionali, per un altro, lo stato esercita una supremazia sull’azione un po’ sregolata delle compagnie multinazionali: la British Petrolium, ad esempio, è una compagnia molto nazionale, sebbene sia una delle maggiori società multinazionali operanti nel settore energetico. D’altro canto, l’integrazione delle imprese multinazionali con le realtà nelle quali esse si insediano diventa una questione di tipo nazionale. (continua)

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