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Le torri emblema di nobiltà nel sec. XV

Le torri emblema di nobiltà nel sec. XV
Gennaio 19
21:36 2014

particolare tiziana mazzagliaIl XV secolo è stato caratterizzato dalla fine dell’età comunale e l’inizio della signoria, come periodo in cui si viveva in prosperità e i finanziamenti economici non mancavano, così da poter soddisfare anche la crescita artistica, che registra in tale periodo una notevole espansione.

Le classi sociali più elevate assumevano artisti, a cui commissionano opere, per affermare il loro potere e la loro stirpe. Gli artisti avevano molta richiesta e si sbizzarrivano nell’elaborare espressioni particolari e novità. I nobili richiedevano sempre più spesso maestranze innovative e spesso straniere. Le forme artistiche erano adoperate dai committenti per manifestare la loro notorietà, un esempio clamoroso in questo campo erano le costruzioni di alte torri su cui veniva affissa l’insegna nobiliare. In Lombardia, a Pavia, sono rimaste tuttora parecchie torri. Naturalmente, oltre alle torri ogni famiglia nobiliare aveva anche il suo palazzo. A Pavia una delle famiglie di gran prestigio e fama erano i Botticella, vi erano più palazzi appartenenti a questa famiglia, molto numerosa. Grazie all’antica pianta del Ballata (sec. XVII) si può risalire all’assetto urbano del sec. XV, dove si nota che uno di questi palazzi è stato abbattuto, perché ostacolava la simmetria delle strade, ed è rimasta solo la torre adiacente. Apparteneva a Tommasino Botticella, padre di sette figli. Alla sua morte il palazzo era stato diviso tra due dei suoi figli: Giovan Matteo e Cristoforo. La famiglia era molto unita, si trattava di una specie di clan. Il palazzo aveva al centro il giardino, adibito ad orto e con alberi da frutto. Il muro perimetrale del palazzo era destinato al commercio con piccoli locali dati in affitto a commercianti, perché la città subiva ancora una forte influenza medievalista, che influiva non solo nell’architettura, ma anche nello stile di vita dell’intera città. Giovan Matteo Botticella, fiduciario della corte sforzesca aveva ereditato la parte ad ovest e si era impegnato a ristrutturarla su imitazione del castello di Milano. L’altro figlio, Cristoforo Botticella, rivestiva un ruolo importante, in qualità di diplomatico nella città di Pavia e occupava la parte opposta del palazzo, che aveva ristrutturato su imitazione del soffitto ligneo dell’antico ospedale di Pavia, oggi sede dell’Università. Esaminando la pianta del Ballada, la costruzione compariva come uno sbarramento all’asse stradale. Si nota a Nord un muro che limita un giardino; una costruzione chiesastica con campanile e verso sud tre cortili paralleli l’uno accanto all’altro, indicati in modo diverso: due con porticati e finestre, mentre quello verso la piazza grande è senza portici. A nord di questo quadrilatero inizia il muro di recinzione con ad angolo una torre, tutt’ora esistente. Si trattava di un palazzo privato, residenziale, che finiva là dove iniziava la chiesa, con i quattro cortili. Attraverso uno studio delle fonti si ha anche la data della demolizione di questo edificio, nel 1804. La torre non è stata abbattuta ed è tuttora in piedi. Si tratta di un elemento architettonico che si erge aperta sui lati, con una composizione, secondo un principio decorativo di tipo medievale; ne sono un tipico esempio le bifore. Cristoforo, come tutti i nobili, aveva personalizzato la torre con i suoi stemmi, e con l’incisione del suo nome. Si tratta di una costruzione in mattoni a vista nella muratura inferiore, mentre nella parte superiore si apre come una loggia, con grandi bifore su ogni lato della sua planimetria. La loggia era isolata, vi si accedeva solo dalla torre stessa e non dal palazzo, questo particolare sottolinea la sua funzione di emblema nella città e non di parte della dimora. Una costruzione tuttora visibile che continua a marcare nel tempo la presenza dei Botticella nella città, un nome oggi ricordato da molti proprio per la presenza di questa torre che da secoli ci ricorda l’importanza dell’arte come mezzo di comunicazione.

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