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Le tre scimmie, di Nuri Bilge Ceylan

Ottobre 01
12:25 2008

Torna nei cinema con il suo sesto film il regista turco Nuri Bilge Ceylan, di cui su queste pagine avevamo già recensito 4 anni fa il meraviglioso Uzak. Le tre scimmie, questo il titolo del film, mutuato dalla celebre storiella giapponese dei tre primati privi a turno di un senso, è un crudo film sulla corruzione, intesa, non all’italiana come il passaggio di denaro ad un politico per averne benefici, ma forse l’esatto contrario. Ma non basta. Qui la corruzione è in senso più ampio: è la distruzione di ogni remora verso la giustizia, la fedeltà, la sacralità della vita, il lutto. Notte umida, buia, piovosa, un’auto ha appena investito un pedone e la targa del pirata della strada viene registrata: il politico che la guida non ha altra scelta per sperare nell’elezione che trovare un capro espiatorio che paghi in sua vece. Convince facilmente il proprio autista a farlo in cambio di un lauto compenso e di una diaria: a ritirare quest’ultima verrà la moglie del dipendente. E’ questa una donna ancora bella, piena di quella sensualità che alcune donne sopra i 40 anni custodiscono spesso senza esprimerla, finquando sensi e sogni non trovano un uomo su cui riversarsi: per lei sarà il politico col quale inizierà una storia clandestina tra il lavoro ed il tempo da dedicare al figlio adolescente. Il ragazzo cerca la sua strada, spesso perdendola e finendo così in cattive acque con pessime compagnie: per aiutarlo la madre compra con i soldi promessi dal politico un’auto, con cui il figlio potrà impegnare il tempo lavorando a sua volta come autista. Ma il tempo di chi è giovane è sempre molto di più di chi l’ha preceduto e questo vantaggio porterà il ragazzo a scoprire l’infedeltà della madre, con esisti nefasti. Tutto questo (ed altro) accade nell’anno che il capofamiglia passa in carcere, un anno che è un istante perché quasi nulla se ne mostra, come avviene anche per gli altri protagonisti le cui storie lo spettatore intuisce attraverso spezzoni di dialogo ed immagini evocative. Stessa tecnica usata per evocare l’ombra ed il ruolo dell’altro figlio perduto della famiglia, morto piccolo, senza che i congiunti abbiano ancora elaborato il lutto, operazione che non li avrebbe condotti alla distanza a cui sono ora e che lo spettatore non sa se verrà mai colmata. Sulla fine del film, come sui suoi protagonisti incombe infatti un violento temporale che batterà Istanbul, nella continuità stilistica di Ceylan che usa con estrema efficacia gli elementi meteorologici per sottolineare gli umori dei protagonisti: era la neve in Uzak, in questo è la pioggia, filmata in uno stile livido e cupo tipico delle meravigliose fotografie che il regista, fotografo professionista pubblica sul sito che porta il suo nome. Film consigliato, a chi ama i dialoghi scarni, le storie cupe, la bella fotografia.

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