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L’epilogo di Fernanda

Dicembre 01
12:16 2008

All’apertura del sipario Fernanda Verderame (alias Angela Pagano), col suo carico di stracci e delusioni, occupa un angolo della scena, una nicchia male illuminata sulla grande scena della vita. Che a poco a poco si rischiara, scopre come fondale un ristorante sul mare, lungo il quale trascorre un cameriere affaccendato, incurante della sagoma nell’angolo, finché non inciampa su di una delle borse di quella ‘barbona’, e rompe alcuni piatti che la donna umilmente raccoglie. Si apre così al teatroValle nel mese di novembre uno spettacolo malinconico, un lungo monologo inframmezzato da motivi celebri, accennati più che cantati; una amara riflessione, che suona piuttosto epicedio, su un mestiere che sta scomparendo: la “posteggia” napoletana, quell’arte minore di girare ristoranti e banchetti intonando i classici del repertorio melodico napoletano, allietando in cambio di pochi soldi un uditorio a volte distratto o infastidito, a volte commosso e partecipe. Un mestiere umile, esposto al capriccio degli avventori e agli sgarbi di padroni arroganti, mestiere che Angela Pagano, ‘figlia d’arte’, rievoca con voce arrochita dagli anni, dal gusto appunto di verderame, cui quel nome di scena, ironicamente coniato sul modello degli pseudonimi brillanti di tante chanteuse dell’epoca sembra alludere. Ma dentro quel fievole guscio sonoro, dietro O sole mio quasi sussurrato, brucia ancora la fiamma di una passione vissuta giorno per giorno, accesa dall’incoraggiamento di uno sguardo, da un ‘piatto’ più ricco, che regala l’ebbrezza di una sera, che fa dimenticare le miserie lasciate a casa. Come avviene alla soubrette Lillipupa, che per sostentare la madre malata tiene per sé i compensi più generosi, nascondendoli in un taschino cucito sotto l’abito. Ed è con quell’abito, bianco con la “nocca”, che la protagonista fa il suo ultimo ingresso, patetica, o forse tragica, come tragico è tutto ciò che, legato ad un passato che non diventa storia, è destinato a spegnersi insieme a chi l’ha vissuto.

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