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L’Italia discrimina i medici e gli insegnanti di altri Paesi membri dell’UE

Marzo 06
15:32 2011

Il Parlamento italiano ha due mesi di tempo per modificare la legislazione, altrimenti la Commissione europea potrà deferire l’Italia alla Corte di Giustizia EU. Il 16 febbraio, la Commissione europea ha reso noto di aver inviato alle autorità italiane un parere motivato al fine di porre fine alle discriminazioni dei medici e degli insegnanti di altri Paesi membri dell’UE che hanno esercitato la libera circolazione, insediandosi in Italia e che si vedono svantaggiati nelle condizioni di inquadramento e di lavoro, nonché nell’accesso stesso all’occupazione nel settore del pubblico impiego. La Commissione europea ha sollecitato l’Italia a tener conto dell’esperienza professionale e dell’anzianità maturate dai medici in un altro Stato membro all’atto di determinare il loro inquadramento o le loro condizioni di lavoro (salario, grado, sviluppo della carriera) nel settore pubblico italiano. Essa ha anche chiesto all’Italia, con un provvedimento separato, di porre fine alle regole discriminanti in base alle quali gli insegnanti che detengono qualifiche ottenute in Italia ricevono punti addizionali all’atto di determinare la loro graduatoria nelle liste di riserva per i posti di insegnamento. La Commissione ritiene che le regole attualmente in vigore siano discriminatorie poiché vanno entrambe a detrimento di lavoratori di altri Stati membri. Entrambe le richieste della Commissione si configurano quali pareri motivati nell’ambito delle procedure di infrazione dell’UE. L’Italia ha due mesi di tempo per allineare alla normativa dell’UE la legislazione che riguarda i due ambiti in questione. In caso contrario, la Commissione può decidere di deferire l’Italia alla Corte di giustizia dell’UE. Conformemente alla normativa dell’UE la libera circolazione dei lavoratori non si applica al settore pubblico, ragion per cui le assunzioni nel settore pubblico possono essere limitate ai cittadini dello Stato membro ospitante. Tale deroga è stata però interpretata in modo estremamente restrittivo dalla Corte di giustizia dell’UE, ragion per cui uno Stato membro può riservare ai propri cittadini soltanto i posti che comportano l’esercizio dell’autorità pubblica e la responsabilità di salvaguardare gli interessi generali dello Stato. Tale restrizione non si applica quindi ai medici operanti nelle strutture sanitarie pubbliche né agli insegnanti delle scuole pubbliche. In linea con la giurisprudenza della Corte, i precedenti periodi di lavoro comparabile maturati nel settore sanitario degli altri Stati membri vanno contabilizzati dai servizi sanitari italiani all’atto di determinare l’inquadramento professionale come se si trattasse di un’esperienza maturata nel sistema italiano. La condizione specifica che in Italia impone la continuità del servizio per stabilire l’inquadramento di un medico costituisce una discriminazione indiretta dei lavoratori migranti allorché si tratta di determinare le loro condizioni lavorative nell’ambito del servizio pubblico italiano. I lavoratori migranti di solito terminano un rapporto di lavoro nello Stato membro di origine per spostarsi in un altro Stato membro, ragion per cui il loro trasferimento si traduce in un’interruzione della carriera. Nel caso degli insegnanti la legislazione italiana stabilisce che, ai fini delle graduatorie delle liste di riserva degli insegnanti e dei punti attribuiti a tutte le qualifiche professionali (comprese quelle ottenute in altri Stati membri), vengano concessi punti addizionali alle qualifiche specifiche esclusivamente se ottenute in Italia. Ciò si traduce in una discriminazione indiretta a motivo della nazionalità e viola la normativa UE in tema di libera circolazione dei lavoratori, oltre ad avere conseguenze negative sull’accesso all’occupazione da parte dei candidati che abbiano esercitato il loro diritto alla libera circolazione per ottenere le loro qualifiche professionali in altri Stati membri. Le qualifiche comparabili ottenute in altri Stati membri e riconosciute dalle autorità italiane dovrebbero essere trattate allo stesso modo di quelle ottenute in Italia e ad esse si dovrebbe attribuire lo stesso punteggio.(fonte ASGI – Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione)

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