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Lo scandalo peloso dell’omicidio Khashoggi

Lo scandalo peloso dell’omicidio Khashoggi
Novembre 28
20:41 2018

Il 2 ottobre, Jamal Khashoggi è scomparso all’interno del Consolato saudita a Istanbul. Da allora, su questo evento, sono rimasti accesi i riflettori dei media, forse, anche perché Erdogan ha fatto da cassa di risonanza, accusando le autorità saudite di aver pianificato e fatto eseguire tale omicidio.

Khashoggi, scrittore e giornalista, è stato, per molto tempo, un pilastro dell’establishment saudita: aveva lavorato come redattore presso le emittenti dell’Arabia Saudita ed era stato persino consigliere di un ex capo dell’intelligence. Ultimamente, però, aveva iniziato a criticare il governo del suo paese, si era auto esiliato e, in particolare, contestava la guerra in Yemen. Probabilmente, era considerato un dissidente troppo pericoloso.

Erdogan, invece, è un capo di stato che controlla i giornali turchi, perché ha duramente represso oppositori e giornalisti. In questo caso, però, è a conoscenza di quanto sia realmente avvenuto nel consolato saudita, grazie a  registrazioni audio carpite da microspie piazzate al suo interno. Allora, difende la libertà di stampa perché ciò potrebbe assestare un colpo mortale all’Arabia Saudita e al principe ereditario.

In generale, comunque, l’opinione pubblica occidentale è rimasta molto scossa per la  brutalità del delitto, visto che si presume che il cadavere sia stato addirittura decapitato e fatto a pezzi con una sega.

L’uccisione di un giornalista che esprime le sue opinioni, che fa inchieste, che mostra a tutti la verità, non è un fatto nuovo. Tutti ricordiamo tanti altri martiri, uomini e donne, uccisi, minacciati, torturati, per impedire loro di scrivere e di denunciare, ovunque, nel mondo. Ma non c’è bisogno di andare tanto lontano, basta anche solo pensare agli omicidi e alle  minacce di mafia, camorra, clan criminali e simili, in Italia.

Il povero Khashoggi ha generato, dunque, un’universale levata di scudi contro l’Arabia Saudita che, tuttavia, è un paese dove esiste la pena di morte, praticata molto attivamente e senza moratoria alcuna (terzo paese boia al mondo, dopo Cina e Iran).

Dal 2015, l’Arabia Saudita guida una coalizione di nove paesi arabi,  sostenuti dagli Stati Uniti, per combattere i ribelli sciiti, simpatizzanti dell’Iran, in Yemen.

Eppure, nessuno ha criticato l’Arabia Saudita per i bombardamenti continui sulla popolazione civile e nemmeno ci siamo ribellati al fatto che abbia addirittura bloccato la possibilità di un corridoio umanitario per portare rifornimenti e medicinali! 7 milioni di yemeniti, intanto, nel silenzio dei media, soffrono la fame, mentre dilaga un’epidemia di colera che, soltanto negli ultimi tre mesi del 2017, ha provocato 2.000 morti. Recentemente, ha fatto il giro del mondo la foto della bambina yemenita di 7 anni, morta di fame. Naturalmente, non è la sola perché, ogni mese, oltre 2.000 bambini muoiono di fame o muoiono a causa di malattie che potrebbero essere facilmente curate.

Tuttavia, tutto ciò non ha suscitato tanto scalpore quanto Khashoggi. Come mai?

Bisogna chiedersi, allora, chi venda le armi all’Arabia Saudita. Molti paesi occidentali, tra cui, ad esempio, l’Italia, che produce  bombe a Domusnovas, vicino Iglesias, (440 milioni di euro nel 2016) in una fabbrica che fa  parte del gruppo tedesco Rheinmetall defense, e che dà lavoro a 270 persone. Proprio le bombe che vengono sganciate sullo Yemen! (Ma d’altra parte, le bombe a cosa potrebbero mai servire?)

Oppure, la Spagna, che esporta armi di precisione usate in Yemen con effetti devastanti. Tali armi hanno distrutto alberghi, ospedali, pozzi d’acqua, edifici residenziali, fabbriche, provocando un numero impressionante di vittime civili. La Spagna, però, non smetterà un commercio tanto lucroso perché, altrimenti, Riad non comprerebbe più le cinque navi da guerra di fabbricazione spagnola, né il treno superveloce per la Mecca, e le aziende spagnole non parteciperebbero alla costruzione della metropolitana di Riad.

Insomma, si comprende facilmente perché le sofferenze e le uccisioni di decine di migliaia di civili, donne, bambini, non facciano tanto scalpore quanto il feroce assassinio di un solo giornalista.

Come si comprende molto bene lo scopo dei nostri politici in deferente pellegrinaggio in quel paese e negli altri della coalizione che sta consumando questo genocidio.

Ricordo, persino, vari articoli entusiastici sul riformismo del principe ereditario quando, dal 25 giugno 2018, le donne hanno potuto guidare (unico paese al mondo che non lo permetteva!).

Tuttavia, il grande ammodernamento riformista del principe ereditario non nasce dalla convinzione che le donne siano esseri umani titolari di diritti umani quanto gli uomini, ma dalla necessità:  lo sviluppo di uno stato che non viva più solo sul petrolio, ha bisogno anche di lavoratrici donne.

Nel frattempo, le donne sono ancora obbligate ad avere un tutore uomo e continuano a non poter mostrare il volto in pubblico. Per viaggiare, andare al ristorante, studiare, votare, devono essere accompagnate da un uomo; possono candidarsi ma non parlare in pubblico; per avere un documento di identità devono avere il consenso maschile. Quindi, le donne non sono considerate mentalmente autosufficienti. Però, e qui si può davvero festeggiare (!), è stato possibile per loro, dal gennaio 2018,  entrare allo stadio per eventi sportivi.

Come pure, si può essere molto soddisfatti che le donne condannate alla pena di morte possano scegliere, come mezzo per morire, il colpo di pistola alla nuca per non essere costrette a scoprirsi il capo!

In un paese tanto illuminato, alleato dell’Occidente, anch’esso molto illuminato, le poche attiviste, che esprimono pacificamente delle opinioni, vengono arrestate per “attività sovversive” e, in prigione, secondo Amnesty International, subiscono maltrattamenti, torture, scariche elettriche, frustate e molestie sessuali.

Ma di tutto questo, non mi sembra di averne sentito parlare tanto.

 

 

 

 

 

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