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Lo spread diventa arma di ricatto

Agosto 16
13:26 2012

Potranno anche cambiare i suonatori, ma la musica è sempre la stessa: lo spread continua a dominare la scena finanziaria e dell’informazione. Credo che i puristi della finanza non riconoscano più la funzione di quello strumento che rappresentava un differenziale di rendimento fra tassi disomogenei e che conteneva in sé anche serie e motivate valutazioni di solidità finanziaria degli emittenti, rappresentando uno dei pilastri del mondo obbligazionario in quanto contribuiva ad orientare le scelte degli investitori. Una dimostrazione pratica viene fornita dalla differente valutazione che da una parte vede schierate le ormai famigerate agenzie di rating e dall’altra uno stuolo di economisti con giudizi e pareri contrastanti, spesso in totale disaccordo se non addirittura opposti. È cronaca recente che a fronte di un ulteriore declassamento dell’Italia da parte di Moody’s, i mercati abbiano reagito non tenendone assolutamente conto.

Ma c’è, a mio parere, una ulteriore considerazione da tenere presente e che pone in una luce diversa lo strumento: l’unico spread che ci viene quotidianamente propinato è quello che prende in considerazione i titoli di stato tedeschi ponendoli a confronto con quelli degli altri stati europei. Si dice che, essendo la Germania la locomotiva economica dell’Europa, tale confronto sia una necessità e costituisca il termometro economico/finanziario dell’intera comunità europea. La solidità della Germania non è certamente da mettere in discussione, così come la sua capacità di aver operato scelte che hanno attenuato di molto se non addirittura azzerato gli effetti devastanti della crisi, ma il continuo confronto interno all’Europa e la diatriba politica dai contenuti nazionalistici costituiscono fertile terreno per chi, dall’esterno e non soltanto, voglia colpire non solo l’euro ma soprattutto la ancora labile e tentennante coesione degli stati. Ecco quindi che lo spread diventa strumento politico ed arma di ricatto, usata sia dall’esterno verso i singoli stati, sia dall’interno per far digerire scelte governative altrimenti indigeste ai politici portati a valutarle con il solo metodo del voto. Non voglio dire con questo che si tratti sempre di scelte indovinate, ma sono comunque del parere che una soluzione si possa sempre correggere, mentre difficile è valutare l’immobilismo. Che lo spread sia divenuta un’arma al servizio di mani dalle differenti origini è dimostrato da molte parti: ne prendiamo in considerazione un paio. Il già citato ulteriore declassamento operato da Moody’s con modalità subdole ed assolutamente disoneste in quanto annunciato a mercati asiatici aperti, con il rischio di generare un devastante allarme generale dagli effetti incontrollabili (per fortuna lasciando quei mercati indifferenti) ha fatto riflettere ancora una volta gli operatori che, già sulla difensiva sulla scia di precedenti esperienze, hanno definitivamente bollato le agenzie di rating come burattini nelle mani di operatori finalizzati a quanto meno disorientare i mercati se non addirittura a destabilizzarli per ottenere facili guadagni dal caos che è facilmente intuibile venga generato da simili comportamenti. Un secondo elemento, ben più profondo ed articolato, è costituito dalle considerazioni che economisti di altri Stati, portati ad essere spesso scettici e comunque impietosi, esprimono sulle scelte operate da nazioni sotto esame quali appunto l’Italia. Un analista di una delle più grandi ed importanti banche francesi dice che per uscire dalla crisi c’è bisogno di bussole affidabili che diano conto in maniera adeguata dei maggiori o minori progressi che ciascuno compie nel cammino europeo verso la sostenibilità. Fra le righe, dunque, lo spread ed i ratings sono una bussola imperfetta che, per ammissione del mercato stesso, va saputa leggere guardandoci dentro ed andando oltre. Lo stesso analista dice ancora che il divario esistente fra BTP e Bund non dà conto dei molti progressi compiuti dal Paese Italia. Sulla base di quanto sopra e sul comportamento degli operatori, possiamo trovare una prima considerazione: i mercati, in una crisi complessa come quella in corso, hanno cominciato a trattare i rating per quello che sono, cioè la fotografia di un arcobaleno in bianco e nero. Certo, dopo quattro anni di crisi economica e finanziaria, di rischi di disgregazione dell’euro, di governi che si avvicendano con una velocità mai vista prima, con la crisi greca in atto, non solo il mondo è cambiato, ma è cambiata soprattutto la sudditanza del mercato nei confronti dei vecchi indicatori. Pur conservando ancora un certo valore per i mercati, lo spread e le agenzie di rating sono finalmente inserite in un contesto più realistico e meno profetico e pertanto trattati come tali. Misurare lo spread costituisce un modo per ricordarci il vincolo impostoci dall’essere titolari di un debito pubblico che è tra i più elevati del mondo, un debito i cui interessi ammonteranno, quest’anno, ad una cifra pari al cinque per cento del prodotto interno lordo. Ma questa è la foto in bianco e nero del nostro arcobaleno ed i colori che mancano e che Moody’s sembra volutamente non vedere, sono tanti e soprattutto sufficienti da soli a far crescere la fiducia su ciò che sta facendo l’Italia, non a farla diminuire come sembrano desiderare le agenzie di rating. Un esempio su tutti:secondo i dati forniti dal Ministero dell’Economia, quelli stessi che dovrebbero essere presi in considerazione da Moody’s,il fabbisogno dello stato è costantemente in discesa ed anche ai fini del contenimento del debito pubblico, che oggettivamente resta ancora troppo elevato, gli economisti prevedono per l’anno prossimo che l’Italia torni a finanziarsi sui mercati ai livelli del 2003/2007, cioè ai livelli pre-crisi. Tutto questo senza prendere in considerazione il mondo industriale dell’Italia, sul quale bisognerebbe dedicare ampio spazio che qui non abbiamo modo di approfondire, ma un accenno credo sia doveroso dare. In Italia c’è un distretto industriale, operoso quanto silenzioso, che produce macchine salvavita per metà degli ospedali d’Europa e che costituisce il quinto polo biomedicale del mondo, ma è anche quello strano Paese che si prende in giro da solo e che è ai primi tre posti al mondo come esportatore in almeno un migliaio dei 5500 prodotti in cui si classifica il commercio mondiale. Siamo un Paese che non dimostra di saper inorgoglirsi di fronte a questi primati, soprattutto, credo, perché non adeguatamente evidenziati e quindi ignorati. Ma non è forse sull’ignoranza che prospera il potere? Ed allora la solita considerazione: se invece di calcificarci sullo spread e flagellarci sulle nostre (numerose) mancanze, cominciassimo ad innestare un percorso virtuoso fatto di buona informazione che a sua volta generi riflessione e conseguentemente ad innalzare il livello culturale così pericolosamente tendente verso il basso? Ma dimenticavo, l’ignoranza genera potere.

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