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L’ONU riconosce il valore del PM Ingroia

Luglio 30
08:30 2012

La Procura di Palermo ha finalmente chiuso le indagini sulla trattativa Stato-mafia, avvenuta nel 1992 a seguito degli attentati dinamitardi ai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Sarebbe, però, più corretto parlare di trattativa tra la mafia siciliana e una ristretta cerchia di persone che allora si trovavano ai vertici delle istituzioni nazionali.

Da una parte, è certo, per conto di Cosa Nostra operò Vito Ciancimino, sindaco mafioso di Palermo, che nel 1992 aveva chiesto, tra l’altro, il carcere meno duro ai mafiosi in regime di 41 bis, condannati nel maxi processo alla mafia, dall’altra parte, invece, per conto dello “Stato”, e all’insaputa di esso, operarono alcune personalità istituzionali che si arrogarono il diritto-dovere di fare concessioni a Cosa Nostra.
Lo scopo apparente era quello di fermare le stragi mafiose attraverso le quali veniva ricattato lo Stato. Ma, oltre al quasi novantenne Conso ex ministro della Giustizia, nessun altro se l’è sentita di assumersi la responsabilità di quella trattativa, non fosse altro perché in realtà una buona fetta della classe politica di vent’anni fa scese a patti con la mafia, più che per una suprema ragione di Stato, per trarne vantaggio personale ricavandone ricchezza e potere basato su rapporti clientelari, evasione fiscale o riciclaggio. Reati, questi, tipici di chi ha potere e soldi. Oggi Antonio Ingroia e gli altri procuratori aggiunti di Palermo chiudono l’indagine mandando a processo una decina di persone con nomi di spicco.
Purtroppo la Procura di Palermo non ha ricevuto in Italia le stesse parole di apprezzamento espresse nel resto del mondo. Infatti, secondo il procuratore capo di Torino Gian Carlo Caselli la Procura di Palermo sarebbe addirittura sotto attacco da parte di ampia parte della politica nostrana che aspira ad accaparrarsi il “potere di aprire o chiudere il rubinetto delle indagini penali” e “mettere in atto tattiche diverse allo scopo di restringere gli spazi operativi delle Procure per ridurre il rischio che si scoprano verità sgradevoli“. Secondo Caselli questi attacchi sono dovuti al fatto che detta procura siciliana “indaga anche sulle coperture e complicità che sono il vero perno della politica mafiosa“. È, infatti, opinabile che i mafiosi senza le complicità dei politici non sarebbero nessuno! E che la mafia siciliana abbia avuto tradizionalmente appoggio e sostegno da parte di personalità non di poco conto nella storia politica italiana questo è stato ormai accertato.
Ricordiamo, ad esempio, il senatore a vita Giulio Andreotti che è stato riconosciuto responsabile fino al 1980 dei suoi rapporti con la mafia. Ugualmente il senatore Dell’Utri è stato ritenuto responsabile del reato di concorso esterno con Cosa Nostra per averlo commesso almeno fino al 1978, mentre per il periodo successivo fino al 1992 dovrà essere celebrato un nuovo processo davanti alla Corte d’Appello di Palermo. E se tutto questo oggi lo sappiamo è proprio grazie al lungo lavoro di controllo della legalità realizzato con metodo e rigore dalla Procura di Palermo, lavoro che è costata la vita a fedeli servitori dello Stato come Falcone e Borsellino insieme agli uomini della loro scorta.
Proprio in occasione del ventennale della morte di Paolo Borsellino, questi due valorosi magistrati vengono nuovamente uccisi da quanti rivolgono attacchi ai loro migliori pupilli, come il procuratore aggiunto Ingroia, accusato persino di cospirazione contro lo Stato (art. 289 del codice penale). Recentemente, in Senato, mentre si citava il fatto che era stato ordito dalla mafia un attentato contro Ingroia, si è alzato un coretto di irrisione, episodio questo che soprattutto rivela l’insofferenza dei politici verso le intercettazioni telefoniche sulla politica reticente e collusa. Certo i politici vorrebbero la distruzione del contenuto delle intercettazioni telefoniche, ma i cittadini non vogliono rinunciare al diritto di sapere da chi sono rappresentati per giudicare e decidere chi votare. Essi non hanno interesse che venga distrutto il contenuto delle intercettazioni, visto che in Italia si è tassati per il 55% delle proprie entrate anche per mantenere alto il tenore di vita della classe dirigente politica!
Si resta davvero increduli, poi, di fronte al fatto che il Capo dello Stato mandi davanti alla Consulta i magistrati di Palermo, che hanno indagato sulla insolita trattativa, con l’accusa di aver violato norme costituzionali e processuali su un piccolissimo capitolo della vicenda concernente le intercettazioni telefoniche indirette che lo riguardano. Lascia a dir poco sgomenti quanto ha scritto il Capo dello Stato in occasione della commemorazione del ventennale della morte di Borsellino: «Si sta lavorando e si deve lavorare per la rivelazione e la sanzione di errori ed infamie che hanno inquinato la ricostruzione della strage di via D’Amelio. Si deve giungere alla definizione dell’autentica verità su quell’orribile crimine…» Ci si chiede a quali errori e inquinamenti da sanzionare si riferisse il Capo dello Stato! Egli afferma pure che bisogna sostenere «la necessità di scongiurare: la sovrapposizione nelle indagini; i difetti di collaborazione tra le autorità ad esse preposte; le pubblicità improprie e generatrici di confusione». Eppure lo Stato formato dalla gente comune non avverte una tale necessità, anche perché i politici non si sono mostrati sinora molto collaborativi con la Procura di Palermo.
E non sono di certo i politici a permettere di scrivere la vera storia della mafia e delle sue collusioni con il potere, ma persone del mondo mafioso, come il pentito Gaspare Spatuzza e il figlio di Vito Ciancimino, Massimo. Oggi il magistrato Ingroia lascia la Procura di Palermo per accettare l’incarico annuale, offertogli dall’ONU, di capo dell’unità investigazioni e analisi criminale contro l’impunità in Guatemala. E allora ci si dovrebbe chiedere perché in quelle latitudini i magistrati antimafia italiani sono apprezzati anziché denigrati e ostacolati come da noi. Ha detto Ingroia: «Io non mi sento in guerra con nessuno, però che sia diventato un bersaglio questo lo avverto anch’io. In questi anni ho cercato di muovermi sempre seguendo gli insegnamenti di Paolo Borsellino!»

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