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Matrone

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Febbraio 22
18:19 2022

A Roma, qualche secolo fa, in un angoletto di quartiere che confinava con la Natura, c’era Sor Matrone. Un personaggio tipico: buono, grosso, piazzato, testa quadrata, una pancia prominente ma dal fisico massiccio. Classico popolano, in zona lo conoscevano tutti. La sua caratteristica? Un “canovaccio” che spesso portava sulla spalla. Simbolo del tutto fare. Aveva tanti canovaccio o “straccetti” come li chiamava la moglie che vendeva la frutta sotto la loro abitazione. <<Il canovaccio? Vai a fare l’attore! No?>> gli disse sua moglie Lucrezia. <<E poi chi si occupa della cucina, del controllo, di andare a prendere la verdura con ceste e carretto?>>, gli rispose Matrone. <<Ma piantala popolano! Non renderti ridicolo!>> gli rispose Lucrezia e Matrone gli rispose: <<Io mica sono nobile come te…>> e tutti e due si misero a ridere. <<E’ la commedia dell’arte…il Contrasto amoroso, morale, civile…la figura retorica, ossia lo scostamento tra forma materiale e sostanza ideale, l’allegoria che esprime il messaggio tramite la figura e ha un grado di discrezionalità nell’interpretazione (alternativa di significato), metafora dove la parola o l’immagine fanno riferimento a un concetto differente da quello presentato ma rette da un rapporto di similitudine tra oggetti o soggetti differenti quindi più materiale rispetto all’idealità dell’allegoria, il simbolo intuitivo e ricco di significato che porta ad altro generando unità di contesto ed ha un contenitore a differenza dell’allegoria che è contenuto, l’analogia che accomuna somiglianze, la retorica ossia persuasione. Il sonetto? Non sei capace a comporli. Mica sei Jacopo…ma un soggetto comico, una maschera!>> disse Lucrezia mentre si addormentava con I Caratteri di Teofrasto in mano e, Matrone, rimase basito.   Una sera, dopo che si era occupato di tutto e costudito il tutto come un buon cane molosso, sul terrazzino, sorseggiando un goccetto di vino, si mise a canticchiare stornelli romaneschi. La moglie dalla camera da letto lo chiamò: <<Vieni a dormire “mammo!”, che domani è un altro giorno di lavoro!>> e Matrone annuì. Di temperamento bonario, rientrò e chiuse la finestra ma prima aveva controllato che i suoi “stracci” erano belli stesi. Rientrando notò che la bottega di fronte, del falegname, era ancora a lavoro, per via del fatto che erano in ritardo con una consegna. Una delle battaglie che cercava di vincere era di far fare il lastricato in sanpietrini nel “suo” tratto di strada che si prestava di terra battuta e che lui ogni giorno “spazzava” ma, all’angolo, c’era il carbonaro e allora… <<Ce vò ‘mpò de farina, quella der mulino! Così te se sbianca er nero. Capito Matrò?>>, gli rispondeva sempre il falegname per prenderlo in giro. <<Non è colpa del carbonaro ma del carbone!>>, gli rispondeva solito Matrone che generalmente non utilizzava il dialetto romano, e poi aggiungeva qualche stornello romanesco da lui composto al momento ma non tanto “a rima” con l’oggetto della circostanza. <<Bravo Matrò, sei ‘m poeta! Er canovaccio c’è, la trama è la vita tua, ma li stornelli sempre fori!>> gli rispondevano. Perché vergognarsi? Libertà. E Matrone je dava… Amava la Commedia dell’Arte. Ogni tanto je dava pure de ballo… La ricorrenza preferita da Matrone? Il Carnevale! Il soggetto, resiliente, era oggetto anche di scherzi e nevrosi. Infatti, un giorno, un bambino zozzo dalla testa ai piedi e maleducato, passando lungo la strada e incrociandolo, gli disse “a siccu”, ossia all’improvviso: <<Mortacci tua!>> e tirò dritto. Matrone, che stava portando gli zoccoli a riparare dal carzolaro, si fece una risatina perché, per lui, l’interpretazione della frase nel contesto era stata un gesto di affetto. Era chiaro che quel bambino Matrone non lo conosceva e che la sua personalità aveva generato una simpatia mascherata… Tornato, passò alla frutteria a dare una mano e poi si recò ad accendere il fuoco e posizionare la callara per cucinare: acquacotta. La sera, sul balcone, si mise a cantare: <<Son Matrone! E tutto faccio e risolvo… Son Matrone! E tutto vedo e invoglio… Son Matrone! E tutto sorveglio e non dormo…>> Ad un certo punto, mentre stava iniziando un altro “stornello”, si sentì la voce del falegname, che abitava di fronte, e gli disse: <<A Matrò…quer bambino c’ha ragione!>> Matrone, capita l’antifona, si recò a letto. Naturalmente Lucrezia, sua moglie, non diceva niente un po’ perché aveva il sonno pesante, un po’ perché si divertiva; mentre i figli dormivano in un’altra stanza… Qualche giorno dopo, incrociò un’altra volta il bambino che prima fece finta di niente, poi gli disse: <<C’è sta er boia ‘m piazza!>> e tirò dritto.  Ora, il bambino si presentava allo sguardo come fosse un adulto: atteggiamenti, mimica, intercalare… Matrone rise un’altra volta ma questa volta pensò che forse ce l’aveva con lui… Seguì il bambino e capì che era il figlio di una persona che conosceva. Si avvicinò alla madre, che reggeva una cesta piena di panni, e, in sua “compagnia comica”, gli disse il fatto. <<E certo! Quando passa se deve scostà perché je ostruisci er passaggio!>> Matrone capì e decise. <<Oltre alla strada con i sanpietrini, tocca fare anche i marciapiedi!>> Mentre stavano comunque interloquendo sulla necessità di una scuola dell’obbligo educativa da valorizzare e indirizzare anche le qualità individuali oltreché fornire cultura utile, gli interlocutori notarono che il ragazzino aveva una spontanea capacità di individuare i caratteri della persona di strada, si sentì il bambino che stava giocando con dei burattini, da dentro la “casa teatro” dirgli: <<A grossolano!>> Matrone e la madre risero, più che per le parole del bambino, per il suo modo schietto, sincero e fermo di dire le cose, e poi, un altro colpo di genio di Matrone: <<Bisogna dar vita a un teatro! E cercare di mandare a scuola questi ragazzini. Siamo a carnevale, il rovesciamento ci sta’! Lo scherzo ci sta’! Un po’ di caos, rovesciamento dell’orine per un nuovo ordine.>> E, salutando la madre, disse alzando la voce per essere sentito dal bambino: <<Ciao nì…sei bravo a improvvisare. Non mi hai detto Grasso perché oggi non è giornata… Anche te ti sei fatto maschera!>> Mentre Matrone si avviava verso casa, naturalmente dopo aver ascoltato un altro paio di complimenti da parte di quel bambino del tipo “mutandone” e “pannaro”, incrociò il pesciarolo che tornava dal Tevere e gli disse: <<Ciao Matrò…>> Matrone lungo il percorso che portava a casa, salutò un viaggiatore del Grand Tour. E così, socialmente, la città progredisce guardando al positivo delle cose, anche se a volte le idee provengono da “stimoli negativi”. Su di un pezzo di travertino, poggiato in terra, si leggeva: Ad majora.

 

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