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“Mezzogiorno dell’animo”: Pensiero occidentale annunciato come una profezia

“Mezzogiorno dell’animo”: Pensiero occidentale annunciato come una profezia
Marzo 30
10:08 2012

3“Mezzogiorno dell’animo” di Enrico Pietrangeli è un volo perturbante sulla traiettoria del dolore, non un dolore piagnone, ma un dolo del vivere, un danno permanente di anima e corpo, una colpa inflitta e subita. Ne vengono esaminati tempi e contenuti, in una successione di dodici sezioni, simili a capitoli di un Poema epico, o a sequenze cinematografiche che assemblano inquadrature di un viaggio dantesco senza guida. Ma il percorso è sostenuto sia da un rigore filosofico, come fosse un trattato, argomentando intorno a uno Spirito del dolore con cui dialogare e fare i conti, sia da una perizia linguistica quasi chirurgica, tramite la quale ogni parola è sezionata, disinfettata, sottoposta ad autopsia.

Ampio è il raggio d’irradiazione con cui l’autore colloca la propria urgenza poetica, ampia la circolarità letteraria e filosofica. Nel Proemio la ruota filosofica del pensiero occidentale, con reminescenza neoplatonica, é annunciata e suona come una profezia, oltre che intento poetico: “Con ciclo inverso e diverso, altra ruota girerà sul verso, l’incompiuto giro d’una pausa in attesa di un moto perfetto.” Un conflitto a fuoco (non solo dell’animo, ma anche della poesia) sembra suggerire il titolo, forse un ironico omaggio al western d’autore, dal Mezzogiorno di fuoco di Zinnemann al Mucchio selvaggio di Peckinpah, alla solarità del coraggio e del riscatto: in quale ora migliore manifestarli se non nel momento più alto del Sole! I versi sembrano compiere una virata vertiginosa, offrendo un’immagine suggestiva e intrigante, una sorta di Giano bifronte, custode di ogni passaggio e mutamento, di inizio e di fine, del passato e del futuro oltre che protettore del mattino: divinità pagana con stigma cristologico e insieme antieroe del nostro tempo:”Sono un cristo di cartone/ svuotato del portafoglio/alleggerito da un demone/ incontrato alla stazione.” L’andamento è costantemente spiazzante e mai dimentico del dettato principe, reso come una folgorazione “Tutto assurdo, centripeto, di una bellezza sconcertante/ il vivere e la sua parodia di morte.”, come se questa giostra imperfetta e delirante non impedisca però la vulnerabilità del cuore ipotecato, e l’ansia e il rimpianto intimi d’amore, cercato come Orfeo in cerca di Euridice o imploso come quello di un Principe Myskin, più disincantato e più attrezzato a sopravvivere e a sostenere illuminazioni, ma pur sempre un poeta ” siamo un amore mai incontrato”, il quale, non a caso, cita un verso catulliano : Che vita ti rimane? Per chi tu sarai bella? Chi più amerai? . Amore di un tempo perduto forse comprensibile soltanto ai poeti: “Chi potrà mai intendere che, dietro la sabbia, un tempo c’era amore, il verde rigoglioso di un eden, nel tempo, per sempre perduto.” Dopo l’Agnosticismo, la Metamorfosi porta “un giorno, vulnerabile e quasi improvviso, in cui la vita si sovrappone del silente peso di una croce; e c’è ancora chi si maledice e chi invoca un’alba di resurrezione.” Più avanti, nell’Epilogo, ancora una citazione, dal greco Kavafis, rivela l’anelito morale: un sentimento fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo e introduce il tema del ritorno, ineludibile dopo tanto errare. Tornare alla vita, rivedere il Sole – simbolo dell’Uno – guarire dopo un dolore sovraccarico d’espiazione é rimpossessarsi del territorio ideale, di quell’utopia mai dismessa ma ora più definita: Itaca non è utopia del sogno/bensì origine per un ritorno./Poco importa cosa m’aspetta, / dell’isola riprenderò possesso.”

Accadimenti e inquietudini di un vissuto personale che vanno in corsa paralleli al millenario percorso di esperienza e conoscenza dell’uomo; e le citazioni poetiche, coerentemente inserite, sintetizzano il nodo del legame tra Eros e Ethos, opposti e complementari, e fanno da cornice all’avventura di un’Anima Mundi che giunge al suo Epilogo, chiudendo solo apparentemente il cerchio a un’attesa poetica, a un cammino personale e cosmico, che resta sempre attesa, ma più consapevole di una condizione contraddittoria : “L’attesa è, senza più ombre, l’esposizione nella gamma del contrasto e della luce”. La Croce, simbolo imprescindibile di una civiltà, si fa ancora più umana, viatico per una palingenesi da un dolore personale e collettivo; perché si voglia o no “siamo tutti comunisti, figli di Dio smarriti/ d’Amore miracolati”.

 

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