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#Nonleggeteilibri – Il confino di Carlo Levi metafora del pensante che non conosce confini

#Nonleggeteilibri – Il confino di Carlo Levi metafora del pensante che non conosce confini
Settembre 04
08:27 2021

«Non leggete i libri fateveli raccontare» (Luciano Bianciardi)

(Serena Grizi) Cristo si è fermato a Eboli di Carlo Levi, Einaudi ed. 2020 € 12,00  isbn 9788806219345 e-book € 6,99. Disponibile al prestito inter bibliotecario SBCR www.consorziosbcr.net

Di questi tempi sembrerà di poter apprezzare meglio e di più, che in altri, la vita di un uomo confinato, per motivi politici e non sanitari, nello stretto perimetro del piccolo paese lucano di Aliano, che Carlo Levi ribattezzerà Gagliano, nel quale fu spedito dal regime fascista nel 1935, dopo un precedente soggiorno a Grassano, giudicato forse troppo ‘mondano’ per il fine punitivo dell’artista e intellettuale torinese, pur nella sua povertà di paese di pietre e poche anime. Gagliano, in effetti, dove possibile, Levi la scoprirà ancora meno strutturata di Grassano ma da pittore, prima che medico e scrittore, ne metterà subito in chiaro i colori (che saranno anche stati d’animo) e ne vedrà subito i limiti e le esigenze; mentre avrà tutto il tempo necessario per capire il carattere dei paesani e dei non paesani, quelli che il paese col suo ‘carattere’ ancestrale ha forgiato così come li conoscerà in quell’anno di esilio forzato. Levi, in effetti, si da subito da fare come medico, anche se gli verrà presto vietato di esercitare, come vietati sono i rapporti con gli altri confinati; prenderà da subito a dipingere la nudità dei calanchi e dei volti, veri, con cui si trova a stretto contatto. Quei contadini senza più nessuna fede, delusi da sempre dalla mancanza d’uno stato che si palesa solo per riscuotere tasse, ben presto gli riconosceranno un’autorevolezza e una forza di carattere, una bontà fuori misura, accogliendolo come uno dei loro ma anche come presunto deus ex machina capace di risollevarli in parte dalla loro condizione. Ne saranno compensati dal ‘lascito’ di questo libro e dall’eredità in opere d’arte e documenti di Levi, vera ricchezza culturale della Aliano di oggi. Basta fare un giro virtuale per l’esistente Parco Letterario intitolato allo scrittore, fra i percorsi, anche reali, che questo apre alla memoria; fra le descrizioni e la lettura che Carlo Levi seppe fare della questione meridionale, apparentemente prescindendo dalla propria cultura personale, riportando le cronache di quei giorni in maniera quasi impressionista, in realtà mettendo in campo la propria esperienza di vita, le conversazioni avute con sua sorella, anch’essa medico, durante una visita al confino, la considerazione profonda dei caratteri dei maggiorenti cittadini (i dottori Milillo e Gibilisco e il podestà don Luigino, il prete don Trajella) capaci solo di confermare, e niente altro, lo sfruttamento dei contadini di questo sud fuori da ogni libro di storia, oltre ogni orologio: «Il vero nemico, quello che impedisce ogni libertà e ogni possibilità di esistenza civile ai contadini, è la piccola borghesia dei paesi. È una classe degenerata, fisicamente e moralmente: incapace di adempiere la sua funzione, e che solo vive di piccole rapine e della tradizione imbastardita di un diritto feudale.»

La prosa spassionata ma priva di retorica, l’esigenza di raccontarsi nella sua avvertita pochezza di uomo, che non credeva forse avrebbe mai conosciuto davanti ad una storia più grande degli uomini, fanno di questo libro l’archetipo d’un monumento letterario non rispondente ad alcun canone magniloquente, nel suo verismo sul quale non si calca mai la mano, nel quale i nipoti di quei contadini possono ancora riconoscersi senza mai provare vergogna perché un chiaroscuro ne delinea una forza vitale ma mai libera davvero di decidere, incolpevoli per la loro miseria, per i loro poveri orizzonti. Rileggere Cristo si è fermato a Eboli oggi testimonia molte cose: il divario nord sud non è cambiato e non c’è stato vincitore né vinto nell’eventuale confronto (molti sud ora sono al nord); una campagna libera di decidere autonomamente rispetto alla città è ancora un nodo importante, oggi, nella necessità pressante della cosiddetta ‘transizione ecologica’, non capendolo si fallirà ancora e ancora; la famiglia e non il familismo mafioso hanno vinto, vincono ancora per le strade di quel sud. Il visitarsi, il salutarsi, il riconoscersi e parlare magari anche una volta l’anno, ‘tornando’ a casa, sono ancora tessuto vivo di quelle contrade, difesa contro l’indifferenza dell’altro contesto civile. Dal punto di vista letterario questo racconto è più vivo che mai, per la commistione sapiente di romanzo e testimonianza, ombra e sole accecante, per l’idea, avulsa da ogni moralismo, di non mettere un punto fermo alla fine, lasciando che quelle storie continuino a parlare al lettore. Levi per tornare a quei luoghi vi volle essere sepolto alla sua morte avvenuta nel 1975. Il libro sarà anche un film, omonimo, di Francesco Rosi del 1979 con Gian Maria Volontè (Carlo Levi) e Irene Papas (Giulia la Santarcangelese).

Opera di Carlo Levi, immagine web

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