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Orti solari, impianti fotovoltaici e acquedotti nel deserto del Sahara

Orti solari, impianti fotovoltaici e acquedotti nel deserto del Sahara
Aprile 06
02:00 2008

I progetti di cooperazione per la costruzione di orti solari, di acquedotti e di impianti fotovoltaici (non soltanto per alimentare gli orti ma anche per fornire elettricità alle case dei profughi Saharawi), hanno visto la partecipazione di Roberto Salustri di Reseda onlus e di Andrea Micangeli del Cirps.
Gli esperti italiani e spagnoli (sociologi, geologi, ingegneri e tecnici) insieme a Roberto e Andrea hanno trascorso tre mesi nel deserto del Sahara per rendere possibile questi progetti, partecipando a riunioni con esponenti del popolo Saharawi e con enti politici come il ministro per l’ambiente del RASD. Per la realizzazione dei progetti Reseda e il Cirps hanno collaborato anche con l’associazione nazionale Amigos del Sahara extremadura (che ha fatto la scuola di agricoltura, gli orti nazionali e familiari) e con i responsabili della Escuela de descapacidades mentale (che ha cambiato nome in Escuela de education especial). I finanziamenti per la costruzione dell’acquedotto sono stati devoluti dall’Acea, che ha dato ventimila euro, e dall’associazione Aem di Pavia che ha devoluto diecimila euro. Per il progetto degli orti solari invece Ises Italia è stato l’ente finanziatore.
A Njala gli italiani hanno portato avanti il progetto che consiste nella costruzione di un acquedotto lungo un chilometro che collega il pozzo dell’orto Huerto national (circondato da palme e canne per contrastare il vento; in esso si coltivano tra le altre cose ramolacce, carote e pomodori) alla Escuela victimas de mina y della guerra. L’associazione italiana di Pavia vorrebbe anche apportare il suo contributo finanziario affinché in questa zona si costruisca un servizio igienico appropriato. In alcune zone del deserto infatti il bagno consiste solo in un pozzo che inquina l’area circostante.
Il paesaggio del deserto strega lo sguardo…non solo quando la vista si perde verso l’orizzonte non scorgendo neanche una costruzione in lontananza ma anche quando ci fermiamo a guardare i piccoli villaggi del deserto: case basse fatte con mattoni di sabbia; finestre in basso per far entrare l’aria fresca ed a fianco delle case, abitate di giorno, le tende per dormirci la notte; qualche pannello fotovoltaico fuori le abitazioni; negozi con scritte in arabo ma anche con disegni degli oggetti in vendita sulle mura esterne, per far capire cosa si vende; capre e cammelli e polli; uomini con turbanti e donne con o senza velo…le donne del popolo Saharawi godono da sempre di una grande forma di rispetto, sono loro che portavano avanti il villaggio quando gli uomini combattevano contro l’esercito marocchino occupante. Ma anche gli anziani qui hanno un loro compito e valore: gestiscono i cammelli.
Seguiamo i nostri cooperanti nel loro viaggio che da Njala prosegue verso Tindouf e Dajla. Vicino Djala tappa obbligata è la valle della luna dove il paesaggio è cosparso di rocce del colore verdastro dell’argilla e grigio…sembra davvero di essere sul satellite…
A Dajla gli orti familiari sono di 300 – 400 metri quadrati con un pozzo di di 5 – 6 metri di profondità scavato a mano. Per mandare l’acqua agli orti qui funziona ancora con la pompa a benzina, perciò ci si adopera perché impieghino l’energia solare per pompare l’acqua agli orti: in questo modo si tira sù meno acqua di quanta se ne tira sù con le pompe a benzina e si spende di meno di un euro al giorno (quota spesa con pompe a benzina). La sostituzione delle pompe a benzina con gli impianti fotovoltaici è quindi più sostenibile e dà più indipendenza economica al popolo Saharawi.
Si procede nel lavoro di cooperazione insieme alla Escuela de education special: il progetto è quello di realizzare 20 orti dimostrativi con persone formate sul posto che vadano poi a spiegare agli altri il funzionamento degli orti, affinché siano i Saharawi a riprodurlo autonomamente. Inoltre si vuole anche sostituire i pannelli fotovoltaici piccoli con i grandi per orti e utenze.
Un intervento degli italiani ci è voluto anche all’ospedale di Djala dove è stata effettuata una prima riparazione del sistema fotovoltaico andato in panne.
A Djala i cooperanti apprendono dell’esistenza della Scuola Carlo Giuliani e di un museo di armi rubate ai marocchini. C’è da vergognarsi a guardare tutte quelle mine di produzione italiana esposte…sono di plastica in modo che non possono neanche essere trovate col metal detector! I mitra e i carri armati sono invece di produzione francese e americana.
Dopo aver partecipato alla Sahara maraton insieme a Generoso Di Benedetto rappresentate dell’associazione Disable Person International, nei giorni successivi gli italiani assistono anche alla giornata di festa nazionale per il popolo saharawi…giorno in cui sfilano bambini di tutte le scuole. Infine col cuore in gola, lasciano un posto dove l’ospitalità ricevuta è stata incredibile, si rientra a casa con l’intento di ritornare in Sahara quest’anno o l’anno che viene per continuare i progetti iniziati.

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