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Parco archeologico di Tuscolo

Parco archeologico di Tuscolo
Dicembre 11
02:00 2006

Tuscolo in un disegno ideato da Mario TitiLe recenti scoperte archeologiche nella zona della Molara a Grottaferrata sono davvero entusiasmanti. Siamo andati ad intervistare l’archeologo della Soprintendenza Archeologica del Lazio Franco Arietti che ha seguito i saggi di scavo per avere qualche anticipazione di rilievo in attesa del convegno del 2 dicembre a Grottaferrata, dove è previsto tra l’altro l’intervento di numerose associazioni culturali ed ambientaliste. Siamo così venuti a sapere dall’archeologo Arietti che gli studiosi sono ormai concordi sul fatto che un fiume importante scaturiva dai Colli Albani e portava le sue acque fino a Roma, dopo averle mescolale prima con quelle dell’Aniene (all’altezza di Ponte Mammolo) e poi con quelle del Tevere. Concordano parimenti che il primitivo nome del Tevere era Abula, nome che è senz’altro da collegarsi con Alba Longa, la mitica città albana che esercitò nel Lazio una forte egemonia. Albula era il terzo fiume nel Lazio, per regime di acque, dopo il Tevere e I’Aniene che, con il primo, delimitavano i confini del Lazio primitivo. Oggi il fiume non esiste più, dal momento che il suo tratto di pianura, presso Morena, fu deviato nel 1122 sotto il papato di Callisto II. Dunque, con gli scavi a Molara (nella Valle Latina) è emersa la prova dell’esistenza di un unico fiume (le cui acque erano chiamate Albula dai romani del periodo arcaico) che nasceva da Alba, sui Monti Albani, ed attraversava il Lazio fino al mare. Di questo stesso fiume esisteva una parte etrusca che veniva chiamata dagli abitanti Vertumno.
Numerosi miti legati alle origini di Roma, sono da ambientare sui Colli Albani – ci ha detto l’archeologo – come la celebre leggenda dei gemelli Romolo e Remo, la cui diffusione avvenne nella versione che conosciamo a partire dalla fine del sec. III a.C. Proprio grazie alla recente scoperta del fiume tuscolano, viene rivalutala dagli studiosi la versione più antica della leggenda dei gemelli fondatori di città, risalente al 500 a.C. e che ci è stata tramandata da Plutarco. Una versione che è rimasta sino ad oggi nell’ombra, forse perché troppo permeata del mondo etrusco e perché, nel periodo successivo, sotto l’impulso di scrittori greci vennero elaborate nuove versioni. L’originaria versione della leggenda è, infatti, da collegarsi indirettamente agli etruschi Tarquini, regnanti su Roma (mentre Tuscolo ed Ariccia erano a quel tempo libere). Essa narra di un crudele re di Alba, di nome Tarchezio, e dell’apparizione di un dio sotto forma di fallo infuocato nel camino della sua reggia. Spaventato dal prodigio egli si reca in Etruria per consultare un’indovina di nome Teti. Dal responso egli viene a sapere che dall’accoppiamento con il dio fallico nascerà una prole destinata a compiere grandi imprese e che darà vita ad una stirpe superiore. Allora egli ordina alla figlia di accoppiarsi con il dio, ma ella, di nascosto, obbliga la sua ancella a sostituirsi a lei. II re, però, scopre l’inganno e, alla nascita dei gemelli, ordina che vengano uccisi. A questo punto il servo, Tarazio, che deve eseguire l’ordine, si muove a compassione e disobbedisce deponendo i gemelli sulle acque di un fiume, dove verranno salvati da una lupa ed imbeccati dagli uccelli. In questo antichissimo racconto, ambientato sui Colli Albani, né i mitici gemelli né il corso d’acqua hanno un nome. Inoltre, i gemelli non debbono fondare Roma, o almeno non solo, ma probabilmente Tusculum, Gabi, Collatia, città, queste, bagnate dalle acque del fiume tuscolano. Nella versione romanizzata della leggenda giunta fino a noi il finale cambia: il servo, una volta ricevuto l’ordine di sopprimere i gemelli, parte da Alba per arrivare all’ansa del Tevere, compiendo un tragitto di ben 22 km, cioè 120 stadi, come ci ricorda con esattezza lo storico di età augustea Dionisio di Alicarnasso. Qui il servo non è impietosito e non disobbedisce. Egli deve uccidere i gemelli ma il Tevere è in piena, e, non riuscendo a deporre la cesta nel punto in cui la corrente è più forte, si accontenta di farlo presso la riva, il che salverà la vita alle piccole vittime. In questa versione più nota il mondo latino, con i suoi miti, il fiume Albula ed i re di Alba, viene relegato sullo sfondo. Ma è proprio il nome di età arcaica del fiume Tuscus amnis (fiume etrusco) lungo il quale scorreva il confine delle città latine controllate dai Tarquini (i Tusculamnes ante litteram) a riportarci, invece, al mondo etrusco.
Dobbiamo qui ricordare che l’idea del parco archeologico di Tuscolo era stata lanciata esattamente un anno fa, in occasione di un incontro pubblico a Grottaferrata, dai politici Filiberto Zaratti e Sergio Urilli, entrambi dei Verdi, l’uno consigliere regionale, l’altro assessore all’Ambiente alla Provincia di Roma. Un’idea, questa, che era stata prontamente appoggiata con entusiasmo dalle pagine del nostro giornale, nel numero di dicembre 2005. Tirando oggi le somme, dobbiamo amaramente constatare che 1 ) nell’arco di un anno ‘la politica’ non ha fatto fare passi avanti a tutta la vicenda ‘parco archeologico’, 2) la Soprintendenza Archeologica è messa di fronte alle forti pressioni (tra l’altro giustificate visti i lunghi tempi di attesa) da parte di costruttori ed immobiliaristi interessati ad edificare, per complessivi 280.000 mc, nella stessa zona riguardante le attuali scoperte archeologiche. I Patti Territoriali e le nuove norme (della precedente legislatura) in materia di difesa del patrimonio storico, archeologico ed ambientale non hanno certamente aiutato a difendere – ha concluso l’archeologo Arietti – quanto è nell’interesse della nazione, oltre che nostro dovere, difendere.
Mantenere così com’è il ‘cono visivo’ da Tuscolo sulla Valle Latina sottostante, con il tracciato dell’antico fiume Albula, è obiettivo prioritario, Ma le previste lottizzazioni non permetteranno più di vedere nel suo insieme l’area archeologica che risulterebbe, invece, frammentata.

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1 Commento

  1. Barbara Garbulowska
    Barbara Garbulowska Dicembre 10, 15:51

    Se così fosse la sorgente del Tevere, chiamato in antichità Albula, si troverebbe sui Monti Albani?

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MONOLITE e “Frammenti di visioni”

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