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Polemiche sul nuovo “decreto flussi”

Febbraio 15
23:00 2011

Il 31 dicembre scorso è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il nuovo “decreto flussi” per l’ingresso in Italia di circa 98.000 lavoratori immigrati non stagionali.
Il 16 gennaio, nel celebrare la Giornate del Migrante e del Rifugiato, monsignor Giancarlo Perego, direttore della Fondazione Migrantes, ha lanciato un appello al governo italiano, sottolineando che «Serve un impegno alla riforma della legge sulla cittadinanza, con l’attenzione ai quasi 600.000 bambini nati in Italia, all’estensione del servizio civile ai giovani stranieri, fino ad arrivare al diritto di voto amministrativo, come ulteriori tappe nell’allargamento di una cittadinanza non di carta, ma attiva e partecipativa».
Tra i quasi 100.000 nuovi permessi che verranno teoricamente attribuiti a cittadini extracomunitari attraverso il cosiddetto “decreto flussi”, circa 50.000 sono riservati a lavoratori subordinati, di tutti i settori, cittadini di paesi che hanno accordi con l’Italia, 30.000 ingressi sono riservati invece ai lavoratori domestici (colf, badanti e babysitter) di altre nazionalità. Secondo monsignor Perego, tale decreto «fatica ancora a rispondere alle necessità di un incontro tra domanda e offerta di lavoro, risultando alla fine di fatto una regolarizzazione soprattutto delle persone straniere presenti nel nostro territorio». Bisogna accogliere gli stranieri in “condizioni di dignità”, perciò «anziché emanare un nuovo decreto flussi il governo provveda a sanare la posizione degli immigrati presenti sul territorio» ha commentato monsignor Dino Pistolato, direttore della Caritas Venezia, precisando che negli ultimi tempi, nel nord, molti stranieri hanno perso il lavoro e vivono situazioni molto difficili. Il nuovo provvedimento ha fatto reagire anche la delegazione Caritas del Nord-Est: «Serve una politica migratoria adulta, alzando lo sguardo oltre l’immediato (…) La Caritas non sta in silenzio quando il contrasto all’immigrazione irregolare avviene senza rispetto dei diritti umani, ma è irrealistico pensare che tappare ogni possibilità di ingresso legale sia una strada che porti da qualche parte. Il rischio è legittimare, nella pratica dei fatti, solo la strada della clandestinità gestita dalle organizzazioni criminali». «Questa volta, inoltre – ha fatto notare don Giovanni Sandonà, direttore della Caritas diocesana di Vicenza, a nome dei direttori Caritas triveneti – il decreto, oltre ad essere in ritardo, ha numeri ridotti rispetto agli anni precedenti, immagino proprio per la situazione economica generale». Tuttavia, aggiunge, «non si può pensare di importare ed esportare, sul piano economico e commerciale, con quattro continenti e non immaginare che ci sia anche una quota di persone che si trasferiscono». La conseguenza di questo atteggiamento, sottolinea il Delegato triveneto «è di rassegnarci a provvedimenti che prendono atto, a posteriori, di situazioni diffuse di clandestinità, o a condannare alla marginalità perenne una quota di persone che vivono tra noi. Nessuno ignora infatti che non mancano le famiglie che hanno ancora badanti irregolari o che esistano, come è avvenuto dopo la regolarizzazione di settembre, lavoratori senza permesso che protestano sulle gru. Sono persone che magari non sono riuscite a rinnovare il titolo di soggiorno. Il periodo di “ricerca lavoro” per uno straniero infatti è di soli sei mesi, per cui capita che chi vive qui da qualche anno, anche con la famiglia, si ritrova da capo senza permesso. L’ipocrisia sta in ciò: che questi decreti diventino un’occasione impropria per sistemare queste situazioni».

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