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Profughi eritrei in LIbia

Luglio 08
17:05 2010

Il 30 giugno è giunta segnalazione dall’Agenzia Habeshia che circa 350 profughi prevalentemente di nazionalità eritrea, tra cui 80 bambini, sono stati trasferiti su camion dalla prigione di Mishratah (Misurata) a quella di Al Braq. Molti di loro hanno subito in passato respingimenti in acque territoriali italiane e maltesi, in violazione della Convenzione di Ginevra. Ad Al Braq, a partire dalla stessa notte dell’arrivo, hanno subito pestaggi e torture, un vero e proprio “bagno di sangue”, secondo i testimoni, nell’iniziale indifferenza internazionale. “Grazie ad alcuni contatti telefonici diffusi dall’Agenzia Habeshia, è stato possibile entrare in contatto con i profughi ed essere aggiornati passo dopo passo su ciò che accadeva” spiegano Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau, co-presidenti del Gruppo EveryOne, organizzazione per i diritti umani con sede in Italia. Il 2 luglio i profughi comunicavano ai difensori dei Diritti Umani di aver subito nuovi trattamenti inumani e degradanti e di essere a rischio di deportazione. Solo l’intervento di Thomas Hammarberg, Commissario per i Diritti Umani al Consiglio d’Europa, induceva un riluttante Ministero dell’Interno italiano a chiedere alla Libia una soluzione umanitaria. Il 7 luglio il Ministero degli Esteri italiano comunicava la stipula di un impegno formale da parte del Governo libico per la liberazione dei profughi, in cambio di ‘lavori socialmente utili’ resi dagli stessi nei vari comuni in cui verranno smistati. “Si tratta di un accordo contrario alla legislazione internazionale in materia di diritti umani, perché i ‘lavori socialmente utili’ sono in realtà una forma di punizione alternativa al carcere,” spiegano gli attivisti di EveryOne, “che non offre garanzie per il futuro riguardanti la paga, gli orari e le condizioni di lavoro, la sistemazione in alloggi, l’esistenza di condizioni dignitose e di diritti civili”.
“La Libia non è nuova a questi progetti,” continua Don Mussie Zerai, presidente di Habeshia, “che non garantiscono alcuna protezione ai rifugiati, i quali potrebbero essere imprigionati ancora e deportati fra qualche settimana. In Libia non esiste il diritto all’asilo, quindi è necessario che i profughi siano accolti in Europa e prima di tutto in Italia, Paese da loro scelto”. Il Gruppo EveryOne e l’Agenzia Habeshia chiedono con urgenza all’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, Navy Pillay, nonché all’Alto Commissario ONU per i Rifugiati, Antonio Guterres, e al Commissario per i Diritti Umani del Consiglio d’Europa, Thomas Hammarberg, di vigilare affinché i diritti dei profughi, e soprattutto dei minori coinvolti e delle loro rispettive famiglie, siano rispettati e che i rifugiati non vengano abbandonati a se stessi in Libia senza garanzie di protezione internazionale. “Chiediamo loro, inoltre” concludono Malini, Pegoraro e Picciau, “di inviare una delegazione delle Nazioni Unite e del Consiglio d’Europa in visita ispettiva in Libia, per assicurarsi delle buone condizioni di salute e del rispetto della dignità dei profughi eritrei”.

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