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Quale laicato cattolico nella diocesi  tuscolana?

Agosto 18
10:52 2021

    Le recenti decisioni del vescovo tuscolano di ridefinire la cura pastorale delle parrocchie di Grottaferrata, – al di là di un giudizio sulla tempistica e l’opportunità o meno in vista di un riordinamento presunto funzionale – hanno sollecitato qualche fedele di una di queste parrocchie a esternare una piccola riflessione che non si può non condividere, soprattutto riguardo la sorpresa sulla modalità di comunicare tali decisioni. Sicché, ad esempio, dalla parrocchia San Pio X di Grottaferrata qualcuno ha fatto timidamente presente, per lo meno il modo insolito di annunciare certe decisioni da parte del presule, direttamente e inaspettatamente durante una Messa (celebrata dal parroco) e senza che i fedeli avessero avuto qualche informazione previa (ed anche una qualche consultazione). La stessa modalità di comunicazione era avvenuta durante una Messa nella parrocchia di San Pietro (la cattedrale) due mesi prima, allorché – dopo un po’ di tempo in cui il parroco non si incontrava più – il vescovo informava i fedeli presenti di aver accettato le dimissioni che il parroco stesso (nonché vicario generale) gli aveva presentato (anticipando solo di qualche mese anche l’età pensionabile! Il che è tutto dire). Non essendosi ascoltato nessun cenno di ringraziamento per chi per otto anni ha retto la parrocchia, glielo rivolgiamo almeno da queste colonne!

    D’altronde non si può non meditare sullo slogan che in queste due circostanze il vescovo ha tenuto a sottolineare: nulla cercare e nulla rifiutare. Il che sembrerebbe poter essere tradotto (absit iniuria verbis) con: ‘tacere ed obbedire’.  (Il motto però risale a S. Francesco di Sales che lo riferiva comunque all’abbandonarsi alla Provvidenza!)

    Qui, non è il caso di entrare in merito alle decisioni episcopali (solo perché sarebbe troppo lungo addentrarci nella discussione, tanto più che non intendo approfittare troppo della disponibilità e dello spazio del giornale) ma due problemi meritano di essere portati all’attenzione: il primo è quello di una completa assenza di comunicazione sulla realtà della diocesi, sui suoi problemi, sui suoi avvenimenti, anche, addirittura, sulle sue manifestazioni religiose e culturali (in centro e periferia). Da ormai un quindicennio manca un foglio diocesano, sia pur saltuario, in cui offrire non solo informazioni ma anche ospitare dibattiti e riflessioni, tanto più che in curia sembra che esista anche un ‘ufficio comunicazioni’! Possibile che su tanti webinar, schede catechistiche, libretti diffusi a migliaia non ci sia spazio per qualche piccolo e umile foglietto (ovviamente eterodiretto)? Praticamente tutte le diocesi in Italia hanno un proprio bollettino e non solo riservato ai comunicati ufficiali. Del resto le altre diocesi del Lazio hanno anche una loro specifica pagina settimanale su ‘Avvenire’. Chi dovesse ‘raccontare’ in futuro la storia degli ‘ultimi’ anni di questa diocesi, praticamente non troverebbe documenti in merito, se non quelli ‘diffusi’ dal vescovo.

    Il secondo problema è quello del laicato. Esiste in diocesi un laicato (cattolico) in grado di elaborare riflessioni, raccogliere disponibilità di persone, far sentire la propria voce nelle scelte pastorali? Qualcosa certamente ancora sopravvive, ma anche qui non si trova una comunicazione che faccia interessare credenti e non credenti. Basti pensare che dalla chiesa tuscolana (e dall’associazionismo) nonché dai poco frequentati incontri di ‘dottrina sociale’, non si è mai levata una voce in questi anni che si sia pronunciata sulle, per lo meno incoerenti e censurabili, vicende amministrative dei nostri Paesi in cui il ‘bene comune’ è solo uno slogan senza contenuti! E non per fare moralismi, né per parteggiare per l’uno o l’altro campanile, ma solo per esprimere pareri che dovrebbero essere specifici di una chiesa e di un laicato che abbiano fatto proprie le direttive del Concilio e successive indicazioni per un cristianesimo ‘adulto’. Anche in questo caso in curia ‘esiste’ addirittura un ‘ufficio associazionismo e confraternite’ (che ha soppiantato la Consulta delle Aggregazioni laicali), ma sembra che l’unico compito sia quello di ritrasmettere le circolari del vescovo per convocare adorazioni e incontri mirati (e più, o piuttosto meno, ‘partecipati’).

   Da una rapida indagine sembra che ormai i fedeli laici associati della diocesi si possano suddividere in tre categorie: gli ‘obbedienti comunque’ all’ipse dixit (pochi, clericali, senza alcun riferimento al magistero conciliare, ma proni acriticamente ad ogni ordine o processione); in secondo luogo esistono alcuni gruppi associativi, in cui, sia pur timidamente emergerebbe chi (al loro vertice) pur esternando qualche critica e proposta, resta comunque inascoltato. In certi casi particolari e soprattutto in alcuni organismi in cui ogni tanto emerge qualche timida critica, si dovrebbe avere fino in fondo il ‘coraggio’ di dimettersi. Infine vi è la terza categoria, quella di laici che hanno capacità di pensiero autonomo, ma preferiscono (per scelta convinta o per mancanza di una alternativa più ampia) di operare in piccoli cenacoli e/o solo nella parrocchia che li accoglie senza alzare steccati. (Si dovrebbe affrontare anche il problema del clero diocesano e degli ordini religiosi, che restano per lo meno emarginati e anche inascoltati (e non autoisolatisi come qualcuno potrebbe credere; ma è un fronte su cui per ora ritengo di sorvolare).    

     E’ ovvio che in momenti difficili come il nostro (ma ce ne sono stati anche in altri periodi),  la diocesi, con molta umiltà ma con decisione, dovrebbe esprimere una sua identità, non attraverso fondamentalismi, proselitismi o indottrinamenti centralizzati, ma recuperando il metodo dell’approccio personale, del dialogo, del dibattito, degli incontri anche assembleari (con insieme preti, laici, religiose e religiosi), con incontri ‘culturali’ aperti all’esterno (ai cosiddetti ‘lontani’, ‘non credenti’ o ‘diversamente credenti’),  fino ad arrivare a decisioni condivise per una pastorale che sia effettivamente tale e non una serie di scadenze per  lo più ‘cultuali’ calate dall’alto. Ma per questo obiettivo è necessario avere una chiara visuale dell’humus diocesano e del sentire della gente anche mediante una più o meno ampia rilevazione sociologica ed ecclesiale, in ascolto delle voci popolari e delle più urgenti necessità in rapporto a fede e storia. Del resto anche sul fronte dialettico, del confronto e della reciproca collaborazione, non si è più tenuto un convegno o un’assemblea almeno dalla fine dell’altro…secolo! D’altronde non ci si può nascondere dietro un organismo quale il cosiddetto consiglio pastorale (ma che fa? chi lo conosce? su che discute e quando?) di cui non si hanno informazioni, costituendo probabilmente solo un saltuario congegno ‘ad usum deplhini’. Insomma, per dirla col teologo von Balthasar, occorre di nuovo ‘abbattere i bastioni’, quelli di una chiesa (locale) da tempo chiusa in sé stessa. Avrà la forza di abbatterli un nuovo e più coraggioso laicato, sia pur ‘obbediente’ ma…in piedi?!   

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