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Quando il Vampiro diventa Dracula

Agosto 12
09:48 2011

La figura del vampiro ha affascinato da sempre l’uomo. Sia il cinema sia la letteratura hanno dato un contributo importante alla divulgazione di questo mito, creando così un vero e proprio stereotipo diffuso nell’immaginario collettivo. Ma c’è un errore di fondo. Alzi la mano chi sentendo la parola vampiro non la associa immediatamente al Conte Dracula, creandosi l’immagine del transilvano (che in realtà transilvano non è) con le labbra rosso vermiglio, i canini a punta e il mantello. In realtà, il vampiro delle leggende e del folklore è frutto puramente della penna degli scrittori ed è molto diverso dal suo corrispettivo letterario, anche fisicamente: un mostro pallido, deforme e che emana un odore sgradevole. Molto più vicino allo zombie che al vampiro come lo intendiamo noi. Etimologicamente, la parola vampiro deriva da vampir, parola magiara che significa “succhiatore di sangue”. La funzione svolta dal sangue è quindi molto importante. Dato che nell’antichità si riteneva che rappresentasse la vita, si credeva che anche gli spiriti dei defunti ne avessero bisogno per mantenersi nell’aldilà. Inizialmente si eseguivano dei sacrifici cruenti, quindi con spargimento di sangue, in onore dei cari estinti. Il sangue divenne quindi l’anello di congiunzione tra i due mondi, quello dei vivi e quello dei morti. Come successe per i famosi processi alle streghe, anche per i vampiri si creò una vera e propria inquisizione, dove per essere accusati di vampirismo bastava veramente poco: essere disabili, avere i capelli rossi, aver contratto malattie particolari come la porfiria o l’anemia perniciosa. Anche i morti suicidi erano considerati potenziali vampiri. Si prendevano varie misure preventive per difendersi dai vampiri. Generalmente, si seppelliva il sospetto vampiro a testa in giù, così, qualora avesse deciso di scavare e tornare in superficie, si sarebbe trovato disorientato. Un altro metodo era quello di ricoprire la tomba del vampiro di pietre per impedirne e ostacolarne l’uscita. Si credeva che non fosse dotato di particolare intelligenza e così si spargevano chicchi di grano intorno la casa, in modo che il vampiro avrebbe impiegato tutta la notte a contarli e al sorgere del sole sarebbe stato costretto a tornare nella sua tomba a mani vuote. Oltre al famoso aglio, anche i simboli di purezza e di santità erano di giovamento nella protezione. Parallelamente all’uomo ma in maniera del tutto diversa, anche la donna ha una sua propria storia in fatto di vampiri. La dark lady, la vampira affascinante che ipnotizza e seduce con lo sguardo, ha tutt’altre origini. Le prime forme di donne vampiro si ritrovano addirittura nella mitologia greca e giudeo-cristiana: rispettivamente Lamia e Lilith. Lamia, ovvero “colei che inghiottisce”, era la figlia di un re libico e con la sua bellezza attirò l’attenzione di Zeus, che ebbe da lei diversi figli. Hera, gelosa, decise di vendicarsi uccidendole tutti i figli tranne uno. Da quel momento in poi, Lamia trascorse il resto della sua vita a cacciare e uccidere bambini e uomini e ciò la tramutò in un essere orribile, mezzo donna mezzo serpente. Lilith, invece, viene identificata dal Talmud come la prima donna creata da Dio con la stessa polvere con la quale creò Adamo. Sebbene Adamo e Lilith avrebbero dovuto vivere per sempre insieme, la loro unione non andò come sperato e Lilith volò via per unirsi agli altri demoni. Allora Dio creò Eva per rimpiazzare Lilith, ma quest’ultima fu così gelosa che, trasformatasi in serpente, convinse Eva ad assaggiare il frutto proibito. L’esordio del vampiro nella letteratura si ha alla fine del XVIII secolo, quando i poeti tedeschi per primi compresero il potenziale della figura del non-morto. L’eco di tale novità non tardò ad arrivare in Inghilterra, dove poeti come Southey e Byron furono particolarmente recettivi, componendo rispettivamente Tabala The Destroyer e The Giaour. Con loro si ha il primo cambiamento importante che riguarda la figura del vampiro: da mostro spaventoso prodotto dalla superstizione, a veicolo di espressione artistica. Anche il personaggio della donna vampiro fece il suo esordio in letteratura proprio in quel periodo, favorito soprattutto dagli importanti cambiamenti sociali che vedevano il gentil sesso come protagonista. Esattamente come per la versione maschile, i poeti romantici inglesi accolsero con favore l’argomento. Le opere più famose riguardanti mostri femminili sono Lamia di Keats e Christabel di Coleridge. Dalla poesia, il vampiro passa alla prosa con Glenarvon, di Lady Caroline Lamb. Il ritratto dell’homme fatal fatto da questa è un riflesso del suo amante, Lord Byron. Nel 1819, verrà pubblicata una delle più importanti opere in fatto di vampiri, che senza dubbio contribuirà a delineare la sua figura nella letteratura: The Vampyre di Polidori. Anche in questo caso a fare da modello è Byron, e Polidori, suo medico di fiducia, si serve della figura enigmatica del suo paziente e amico per dare vita al protagonista del suo romanzo Lord Ruthven. Inizia così a crearsi il topos letterario: l’aristocratico di bell’aspetto, malvagio e seduttore. Altra opera importante che continuerà il percorso già intrapreso da Polidori è Varney The Vampire or The Feast of Blood. La paternità dell’opera è ancora incerta e viene attribuita sia a James Malcolm Rymer che a Thomas Preskett. È probabile infatti una stesura a quattro mani o quantomeno una partecipazione da parte di entrambi. Con Varney si assiste al passaggio definitivo dal vampiro del folklore a quello letterario. Si arriva così al 1872, anno di pubblicazione di Carmilla, di Joseph Sheridan LeFanu. Sebbene egli fosse fortemente influenzato dal gotico e dal folklore irlandese, fu in grado di trasformare il romanzo gotico in un moderno thriller psicologico concentrandosi sulle emozioni e sulle sensazioni intime della vittima. E questa fu solo una delle novità apportate dal novellista irlandese. Il rovesciamento dei ruoli imposti dalla società vittoriana è probabilmente l’argomento più interessante proposto da LeFanu dove, a dispetto del sistema patriarcale che vedeva l’uomo al comando, sono i personaggi femminili a prendere il sopravvento. Durante la seconda metà del XIX secolo, vennero creati due tipi di vampira letteraria: quella sovrannaturale che si nutre del sangue delle vittime e quella metaforica, ritratta dalle novelle realistiche come una donna che si appropria di tutte le risorse economiche della società. Le Fanu ha intrecciato alla perfezione queste due idee del vampiro-donna, creando il personaggio di Carmilla. Si dovrà attendere però fino al 1897, per avere l’opera massima in fatto di vampiri: Dracula di Bram Stoker. Inizialmente si credeva che fosse stato scritto frettolosamente e in poco tempo. Tale ipotesi venne a cadere dopo la scoperta degli appunti di lavoro di Stoker, avvenuta nel 1970. Gli appunti rivelavano date comprese tra il 1890 e il 1896, quindi la gestazione del libro è stata tutt’altro che frettolosa. Stoker si documentò molto sulle leggende riguardanti la Transilvania e venne a conoscenza della storia di Vlad Tepes, detto l’impalatore. Prendendo spunto dal personaggio storico, emerse la figura di Dracula vampiro.

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