Notizie in Controluce

All’inizio degli anni 80 del secolo appena trascorso, il neurofisiologo Benjamin Libet (1916-2007) realizzò una serie di esperimenti i cui risultati evidenziarono precise relazioni tra l’esperienza cosciente e l’attivazione di determinate zone cerebrali, riaccendendo il vecchio dibattito sul libero arbitrio, che dal tradizionale piano filosofico si spostava, però, su quello scientifico. Tali esperimenti mostravano che l’inizio delle azioni volontarie, identificato in un’attivazione neurale strumentalmente rilevabile (potenziale di preparazione di Kornhuber e Deecke), precede di 500 msec il manifestarsi dell’azione stessa, ma soltanto dopo 300-350 msec se ne ha coscienza. Restano 150-200 msec prima dell’attuazione: cosa succede in questo tempo? È il tempo disponibile per il libero arbitrio, che per Libet non è la causa dell’azione ma di eventuali azioni inibitorie. Circa un quinto di secondo, dunque, per Libet è il tempo a disposizione del libero arbitrio, tempo in cui la ‘volontà’ dell’uomo può decidere condizionando il corso di un evento, anche il più improvviso, ma diventa quattro interminabili secondi per la mamma di Marco, bambino disabile che lotta contro la morte, a causa di un boccone che gli è andato di traverso. Quattro secondi che, nel tormentoso turbinio di pensieri e sentimenti contrastanti che s’impossessano improvvisamente della mente e del cuore della mamma, si dilatano oltre ogni misura, quasi per uno di quegli strani effetti relativistici del tempo. Un giornale, lasciato ben in vista dal marito, riporta la notizia che in Francia una coppia è stata assolta per aver ucciso il figlio disabile, e l’articolo sta proprio lì, sotto gli occhi della mamma di Marco, terribile prova del suo libero arbitrio, che non ha soltanto 150 msec per decidere, ma quattro interminabili secondi, durante i quali scorre davanti ai suoi occhi il film della disavventura del piccolo Marco. Questa è la vicenda toccante e ricca di stimoli di riflessione del ‘corto’ di Egidio Manna Quattro secondi, vincitore del Premio Scrittura Teatrale III edizione 2008, rappresentato dal 18 al 20 aprile al teatro Fara Nume di Ostia Lido, nell’interpretazione di Teresa Polimei, sulle scene la mamma di Marco. Alla fine, la decisione giusta (“so che ho preso la decisione giusta: non esistono solo le rose, ma anche i gerani”) e sofferta che s’impone al suo cuore: “So che non mi pentirò mai della mia scelta. Ma so anche che non mi vergognerò mai di ciò che ho pensato.”.
Teresa Polimei a doti di bellezza e grande femminilità, che esaltano il suo ruolo di mamma, aggiunge doti d’intelligenza e forte presenza sulla scena, dove le sue origini partenopee si manifestano appieno in una naturale gestualità teatrale, ricca di sottili, raffinate e mutevoli espressioni del volto, che da cupe si aprono in improvvise illuminazioni, nella cornice dei suoi lunghi capelli biondi. La Polimei, con la sua forte, ma al tempo stesso dolce, personalità cattura magistralmente l’attenzione e il cuore degli spettatori, in un monologo semplice ma incisivo e difficile, attraverso il quale nel suo ruolo di mamma manifesta l’angosciosa lotta (“quanto poco ci vuole per apprezzare la bellezza, e quanta fatica ci vuole a vederla dove ce n’è poca”), che deve affrontare da sola, fra la tentazione di ‘risolvere’ in maniera ‘legalmente’ accettabile il dramma della ‘diversità’ di Marco (“…per evitarti tante sofferenze, umiliazioni, discriminazioni”) e l’amore materno, che alla fine prevale, sorretto però anche da un’amorevole razionalità: “Ma così ti toglierei anche le gioie che puoi provare e che saprai apprezzare”.
Un testo, quello di Egidio Manna, essenziale ma che offre al pubblico un messaggio di profondo amore e saggezza, spogliato d’ogni retorica, in cui per altri sarebbe stato facile cadere.