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Quelle morti per nulla bianche

Giugno 24
23:00 2008

Il lessico sembra essere rivelatore delle realtà emergenti. Per esempio nell’ambito della “sicurezza” utilizziamo questa parola per indicare una miriade di concetti, dalla salvezza della vita umana alla salvaguardia del patrimonio economico, dalla sicurezza pubblica a quella stradale, da quella del volo a quella dei dati sensibili.
Parlando di sicurezza sui posti di lavoro dovremmo pertanto dimostrare di avere le idee chiare usando il termine salvezza, si dimostrerebbe di aver introiettato il concetto profondo che si intende affermare.
Il cattivo lessico non si ferma alle definizioni, arriva anche sui media dove la cattiva stampa chiude il cerchio con una informazione stereotipata su allocuzioni sbagliate e fuorvianti. Gli inglesi sono più fortunati da questo punto di vista, usano un vocabolo differente per quasi ogni tipo differente di situazione, per esempio c’è differenza nell’uso corrente tra i concetti di “Safety” e “Security”. Il primo indica appunto la salvezza ed è indicato per le procedure indirizzate a proteggere l’incolumità della vita umana ed il secondo è usato per le azioni di salvaguardia del patrimonio o tese a garantire beni morali.
Le “morti bianche” nessuno sa spiegare cosa siano, semplicemente perché si è persa memoria dei fatti che hanno portato la stampa ad adottare questa pessima espressione. Oggi sappiamo solo che indicano i morti sul lavoro. Con il termine “Caduti del lavoro” erano chiamati i morti per incidenti sul lavoro fino alla fine degli anni ’50, forse eco delle tragedie vissute nelle troppe guerre del precedente cinquantennio. Si moriva di lavoro come sui campi di battaglia, quasi un dato scontato e “onorevole”. All’interno del movimento operaio italiano, a partire dagli anni ’60, si è diffuso il termine più forte di “omicidi del lavoro” per indicare con nettezza le responsabilità dirette dei sistemi di produzione delle economie industrializzate rispetto alle scarse condizioni di sicurezza dei luoghi di lavoro, causa diretta di migliaia di morti che si verificano ogni anno nel mondo, specialmente nel settore edilizio, nelle miniere e nel settore siderurgico.
Negli ultimi anni, per definire il fenomeno sono stati utilizzati i termini “morti bianche” invece di “omicidi bianchi” che indicava appunto un omicidio non rubricato come tale e quindi “bianco” nel senso di non adeguatamente perseguito, espressione forte e comprensibile usata dal movimento dei lavoratori. Alcuni hanno adottato l’espressione depurandola di quell’accusa terribile di omicidio, che però rendeva esattamente l’idea, derubricandola in semplice morte, cioè la solita incolpevole fatalità, questa sì bianca e innocente, si è passati dall’espressione usata dai lavoratori di ‘omicidio bianco’ a quella giornalistica impersonale ed insignificante di ‘morte bianca’.
Eppure leggi e regole non mancano ed in definitiva non mancherebbero nemmeno i controlli, sebbene inadeguati, manca proprio la cultura della “salvezza”.
Oltre alla costituzione si occupano di sicurezza il codice civile e numerose leggi, ad esempio l’art. 2087 Codice Civile – Tutela delle condizioni di lavoro- recita: L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. L’arido elenco delle leggi che si occupavano di protezione dei lavoratori, sino agli scorsi mesi, conteneva anche ottime disposizioni ma dai risultati sostanzialmente insoddisfacenti.
Così le varie D.P.R. 27 aprile 1955, n. 547; D.P.R. 7 gennaio 1956 n. 164; D.P.R. 19 marzo 1956, n. 303; D.Lgs. 15 agosto 1991, n. 277; D.Lgs. 19 settembre 1994, n. 626; D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 493; D.Lgs. 14 agosto 1996, n. 494; D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 187; art. 36 bis, commi 1 e 2 del D.L. 4 luglio 2006 n. 223, convertito con modificazioni dalla L. 5 agosto 2006 n. 248; artt. 2, 3, 5, 6 e 7 della L. 3 agosto 2007, n. 123; sono state sostituite dal nuovo Testo Unico Sicurezza Lavoro, che ne prevede l’abrogazione, con differenti modalità temporali.
Per “Testo Unico Sicurezza Lavoro” si intende, nell’ambito del diritto italiano, l’insieme di norme comprese nel Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 che riunisce e armonizza le disposizioni contenute in alcune precedenti normative in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, congiuntamente abrogate dal decreto stesso e che giova ricordare è stato varato sotto il Governo Prodi.
Il nuovo testo normativo è stato concepito per semplificare la materia della salute e sicurezza dei lavoratori in Italia, riunendo e armonizzandone le norme, contenute in molteplici disposti succedutesi nell’arco di quasi sessant’anni, nonché di aggiornare le medesime all’evolversi della tecnica e del sistema di organizzazione del lavoro.
Che le sole norme da sole non risolvano nulla lo dimostrano le tragedie di questi giorni, sebbene il nuove testo sia troppo giovane per dimostrare se sia efficace o meno. Il mio pensiero è che in Italia dobbiamo cambiare testa, è prima di tutto un fattore profondamente culturale, dobbiamo convincerci, come per mille altre cose, che salvare le vite dei lavoratori sia un valore, che la sicurezza deve far parte dei nostri comportamenti quotidiani, come allacciare le cinture di sicurezza o non bere alla guida di un’automobile o non fumare in servizio.
Purtroppo il movimento sindacale, al di là delle dimostrazioni puramente demagogiche, spesso chiude più di un occhio sulla sicurezza pur di salvare contratti e posti di lavoro. Al riguardo cito a titolo di esempio la tragedia della Val di Stava dove, per salvare trenta posti di lavoro, i sindacati sorvolarono sui problemi di stabilità dei bacini minerari a monte che franando uccisero più di trecento persone. Non voglio urtare la suscettibilità del sindacato, si tratta solo di ricordare le mille pressioni a cui vengono sottoposti i lavoratori, specifico perché non vorrei che si leggesse come una frattura tra il partito e il sindacato, io stesso sono stato delegato sindacale per un quarto di secolo.
Quindi in questa vicenda dei caduti sul lavoro a mio parere non esistono colpevoli e innocenti, dobbiamo cambiare tutti, d’altra parte i dati di partenza parlano di una guerra che sebbene non mobiliti nessuno ha dei numeri ormai non più sopportabili.
Ci sono più caduti sul lavoro che nelle missioni all’estero, anche se vogliamo utilizzare i caduti americani in Iraq, più di 4.000, noi ci arriviamo in poco più di due anni, eppure nessuno fa manifestazioni “pacifiste” al riguardo, nessuno blocca l’Aurelia e così via. L’ordine di grandezza che ci deve far riflettere è a livello mondiale di circa due milioni di morti annualmente, di cui circa 12 mila bambini.
Nel contesto europeo secondo i dati Eurostat i casi mortali sul lavoro sarebbero stati nell’Unione Europea 5.237 nel 2000 nel e 4.397 nel 2004.
Il numero di morti secondo i dati INAIL in Italia nel 2004 è stato di 1328 e nel 2007 di 1260 (ipotizzando medesimi sistemi di rilevazione); cioè uno sconcertante 30% dell’intera Europa comunitaria, sebbene il numero sia in continua diminuzione dagli anni ’60 ad oggi e l’incidenza sulle ore lavorate ancora di più essendo esse aumentate procapite del 50% dagli anni ’80 in poi.
L’Italia è il paese con il più alto numero di morti sul lavoro in Europa. Tra il 1995 e il 2004 gli infortuni mortali nell’Unione Europea sono diminuiti, in media, del 29,41%, mentre nel nostro paese solo del 25,49%.
Dobbiamo mettere a sistema il concetto che la sicurezza inizia dalla testa del presidente di una società e termina in quella del diretto interessato che deve convincersi che è meglio non lavorare che sottovalutare le misure di protezione, infatti da morto guadagnerà ancora di meno che da licenziato.
Se i lavoratori adottassero questo metro di comportamento le aziende fuori regola sarebbero inesistenti o rarissime. Che convenga, cioè che sia un valore economico, salvare la vita dei lavoratori dovrebbe essere il principio ispiratore per tutti. Forse è ora che i politici lancino campagne di stampa su questa “sicurezza” invece su quella facile e allarmistica della protezione del patrimonio e della morale che non hanno statistiche altrettanto vergognose.

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