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Riflessioni sulla società in cui viviamo

Marzo 04
02:00 2008

Circa una riflessione sul mondo in cui viviamo, occorre innanzitutto dire che l’uomo moderno è un uomo molto occupato a svolgere ogni sorta di attività, talvolta pretendendo di compiere più azioni contemporaneamente con ripercussioni sulla propria struttura fisica, lamentando spesso mal di testa, stanchezza e sintomi d’ansia. Questi sono i disturbi che colpiscono le moderne società, nelle quali non si ha il tempo per fermarsi a guardare il cielo o ad annusare l’odore di un fiore, ma soltanto per correre freneticamente qua e là senza apparente motivo. Si corre sui luoghi di vacanza non per cercare un po’ di riposo o per ritemprare le membra stanche del lavoro. Bensì perché il mondo và così, per il semplice motivo che accodarsi con le automobili sotto il sole rovente di agosto è una sorta di “moda” che occorre seguire ad ogni costo. Restare nelle case è pura follia, per molti. Inoltre l’uomo moderno, con il progresso sempre più avanzato in ambito medico, e non solo, crede di poter dominare il cosmo e la vita dei propri simili, decidendo senza troppi scrupoli quando e come si debba morire o nascere. “Procreazione assistita”, “aborto”, “eutanasia” sono i termini che si sentono ormai ovunque, così come “legalizzazione”, “doping”, “scandalo del calcio” e molte altre espressioni che non lasciano presagire nulla di positivo. Ascoltando le notizie dal mondo, non ci si può sottrarre ad una certa terminologia deprimente e preoccupante che annovera le seguenti parole, tra quelle più in uso: allarme, devastante, anomalo, allerta, agghiacciante e via dicendo. Ogni evento rappresenta un “allarme” lanciato dalle autorità, molto spesso provocato dall’uomo stesso, come ad esempio il disboscamento di aree alberate con conseguenti frane e innumerevoli “allerta” della protezione civile. La situazione climatica, inoltre, lascia tutti spaesati, il sole è diventato nocivo, il mare si ribella creando enormi onde dall’azione distruttiva che portano lo straniero nome di tsunami (onda del porto) e che si abbattono su popolazioni inermi anziché abbattersi sulle civiltà avanzate al fine di smaltirne la boria. Il troppo caldo si alterna a forti temporali e nessuno sa dare una spiegazione a questo strano andazzo meteorologico. L “effetto serra” compare su tutti i libri di scienza, presentato come il principale flagello del globo, affiancato dallo sciogliersi dei ghiacciai e dal “buco dell’ozono”.
Un’altra questione fondamentale è costituita dal fenomeno dell’inquinamento incombente; problemi su problemi, domande dietro domande, preoccupazioni generali e fittizi interventi che non risolvono affatto questi fenomeni. La panoramica del mondo moderno è questa. Nulla di eclatante, nulla di grandioso, come credevano coloro che inneggiavano all’arrivo dell’anno 2000 come a qualcosa di bello e inaspettatamente diverso. Ecco come vive l’umanità del XXI secolo, senza Dio, incantata da romanzi simili a quelli di Dan Brown (Il Codice Da Vinci) e da processi show in cui due assassini, malati, certo, ma pur sempre due assassini, come quelli di Erba vengono osannati tanto da meritare che la gente faccia la fila davanti al palazzo della Corte d’Assise fin dalle sei del mattino per accaparrarsi i pochi posti disponibili per seguire il processo. Un tempo erano gli esempi valorosi a meritare tanto interesse, oggi sono gli eccidi. No, non c’è proprio niente di cui andar fieri, se non il nostro Santo Padre Benedetto XVI che ha la mano di Cristo sopra il capo e ci difende con la forza delle parole da questo baratro senza uscita.
Spostando l’attenzione sul mondo dei giovani, è necessaria un’accurata descrizione delle loro abitudini, del loro particolare, quanto singolare, modo di esprimersi, definito in gergo “giovanilese”, nonché della loro sempre più diffusa tendenza a trasformare la lingua italiana in un insieme di numeri, simboli e mezze e frasi, quali: tvtb per “ti voglio tanto bene”, k fai? Per “cosa fai”, k 6? Per “chi sei?”, x qnt tmp? Per “per quanto tempo?”, con conseguente e ovvia disperazione degli insegnanti di lettere, che assistono inorriditi al decadimento della lingua più ricca del mondo. Il giovane degli anni 2000 possiede un particolare modo di vestire fatto di pantaloni lenti, cadenti, larghi, che lasciano ben poco spazio al gusto estetico e finiscono con l’avere l’effetto contrario rispetto a quello che si vuole ottenere. Essi sono accompagnati da piccole e strette maglie che hanno il difetto di lasciare scoperto l’ombelico; naturalmente questo per le giovani ragazze non rappresenta certo un difetto ma un motivo di vanto e seduzione. In realtà, se chiedessimo ad uno ad uno cosa li spinge ad indossare questo tipo di abiti, scopriremmo che nessuno di loro è in grado di fornire una risposta adeguata a questo quesito e capiremmo, senza indugio, che ciò che più conta nel mondo giovanile è l’uniformarsi al comune sentire; poco conta lo spirito individuale, il quale finisce con il perdersi nell’oblio del conformismo.
Ciò che manta alla gioventù odierna è la capacità di salvaguardare se stessa opponendosi a ciò che il mercato propina giorno dopo giorno nel tentativo di adescare giovani menti smarrite alla ricerca di qualcosa di nuovo; la ricerca del “nuovo”, infatti, soppianta la ricerca del “vero” facendo precipitare in una spirale senza fine di noia e insoddisfazione.
Il non essere in grado di ribellarsi alle storture della società in cui vivono è segno di apatia e insofferenza da parte dei giovani nei confronti di quanto gli si vuole proporre, anche se si tratta di proposte esclusivamente materiali, come gli ultimi frutti dell’alta tecnologia. Chi propone uno stile di vita diverso, che renda la vita significativa e degna di essere vissuta? Ovviamente questo non ha rilevanza ai loro occhi. Bisogna tuttavia rendere onore al vero: ci sono molti giovani che, nonostante la moria di valori e punti di riferimento, tranne rare eccezioni, costruiscono una propria identità, ma, ahimè, spesso non hanno abbastanza carattere per difendere il loro punto di vista e si lasciano trasportare dalla “massa” oppure si chiudono in uno sdegnoso isolamento privo di scopo.
La situazione è resa ancor più singolare dall’ambiente scolastico in cui lo studente, seppur già liceale, trascorre gran parte della giornata: in questo luogo, che dovrebbe essere formativo ma che di formativo ha ormai ben poco, regna sovrana la confusione, la disorganizzazione e la trasmissione di nozioni sterili; nella scuola sembra non esserci spazio per le esperienze personali e ciò è testimoniato dal fatto che di un autore viene richiesto un sapere erudito, mnemonico, piuttosto che impressioni e considerazioni sui suoi scritti. Gli insegnanti, dal canto loro, paiono essere vittime di un certo sistema che si è andato costituendo e sembrano coglierne il lato assurdo senza riuscire a porvi rimedio.

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