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“Scrivere mi è sempre piaciuto” di Enzo Randazzo

“Scrivere mi è sempre piaciuto” di Enzo Randazzo
Febbraio 05
08:44 2023

Enzo Randazzo è “nudo” nella sua autobiografia.

Ci sono generi letterari che definirei “trasversali” nel senso che possono essere letti da tutti come le poesie, i proverbi o i romanzi. Nel caso di un’autobiografia, come quella di Enzo Randazzo, vi si trova sia il romanzo, sia la poesia o la critica letteraria. La forma del diario. La scientificità dell’antropologia che abbraccia aspetti socioculturali, religiosi, filosofici, artistici, ma soprattutto umani.

In Scrivere mi è sempre piaciuto, lo Scrittore si sveste da qualsiasi abito moralistico, omertoso, di pregiudizio, di paure che potrebbero compromettere l’immagine esteriore, lo stereotipo che, nel corso della sua carriera scolastica, ma anche di scrittore, poeta, commediografo, critico e conferenziere, si è consolidata. Enzo Randazzo è nudo. Potremmo presentarlo ai lettori e alle lettrici con due parole: “Ecce Enzo!”. Ecco l’uomo che noi, inguaribili presuntuosi, abbiamo sempre pensato e detto di conoscere. Potremmo pensare al Duomo di Monreale davanti al quale si passa o lo si ammiri in lontananza e si giudica per la sua imponenza che, per alcuni può apparire bella e, per altri, brutta. Tuttavia, si è smentiti quando si accede all’interno: si resta a bocca aperta, si viene travolti da un ciclone di bellezza e di spiritualità.

“Scrivere mi è sempre piaciuto” ci travolge come “La grande onda di Kanagawa” di Hokusai.

L’uomo Randazzo, prima di diventare scrittore affermato, ha edificato il suo castello alternando lettura e lavoro. Seduto davanti alla porta di casa, ancora con i pantaloncini corti, preferiva i libri al gioco. Scrittori come Lev Tolstoj, Jack London, Alexandre Dumas (figlio), Fitzgerald ed Hemingway. Grandi romanzieri, letti “disordinatamente, da autodidatta”, come lui stesso ammette. Sulle letture si ritorna e si scopre sempre qualcosa di nuovo. Accade a quanti leggono, non soltanto al giovane Enzo.

La lettura non si arresta, diventa un piatto di ciliegie, un autore tira l’altro: “Imparai a vivere, a disperarmi e a sognare con gli scrittori della Parigi di “Festa mobile””, ci confessa nella sua ultima opera letteraria. Non si limita a elencare Scrittori, Scrittrici e titoli delle loro opere. Sarebbe molto facile per chiunque voglia apparire e far sfoggio di cultura. Randazzo stabilisce una sorta di comunione tra l’autore letto e il lettore. Ci dà la sua critica. Ci insegna ad avere una matita accanto al nostro libro. Segnare, prendere un appunto, scrivere una nota.

I libri letti e che appassionano sono sempre scarabocchiati e “Scrivere mi è sempre piaciuto”, è uno di quei libri che istiga asottolineare e a prendere nota. Si arriva anche al punto di allontanare la matita, a meno che non si voglia scrivere un saggio. Dovremmo essere più audaci di Jean Paul Sartre quando si era avventurato a scrivere l’introduzione ai libri di Jean Genet: oltre 600 pagine, causando all’ex ergastolano sei anni di blocco mentale. L’autobiografia (molto riduttivo definirla così) del Randazzo merita uno studio approfondito. Un lavoro anche a più mani. Al cospetto di un uomo, che non lascia i libri ben ordinati negli scaffali, che conosce anche i minimi dettagli dell’opera pirandelliana, sciasciana, per non parlare di quella navarriana, non si può competere. Ha sviscerato tanti autori. È stato come quell’ape, evocata da Montaigne, che dopo aver succhiato il nettare a tanti fiori ci ha offerto il suo miglior prodotto: il miele. Nel caso del Randazzo, è la letteratura che ha prodotto in venti 20 libri. Uno scrittore, per scrivere, deve uscire, incontrare persone, ascoltare anche le più banali storie. Deve, altresì, lavorare manualmente a costo di pungersi come quando si estrae il cotone dalle capsule. La vita del Randazzo è una sperimentazione permanente. Non vive all’interno di una boule de neige. Da ragazzo, non si è lasciato rapire soltanto dalle letture, ha seguito il Papà o lo zio Totò nei campi. Ha toccato con mano la realtà del mondo rurale in modo particolare nella sua proprietà di Pandolfina. La stessa contrada che viene richiamata spesso non solo in questo libro, ma anche nei precedenti.

È più che naturale che i ricordi della prima infanzia restino impressi nella memoria. È proprio la memoria che fa riscrivere il passato e regala al lettore o alla lettrice pagine antologiche che sfiorano la poesia come nella descrizione verista, o se volete naturalista, del luogo e dei personaggi attorno all’Aia (L’aria, in dialetto siciliano). In quattro pagine, viene fuori il “miele” prodotto dal Randazzo che, senza troppa enfasi, si può accostare a Honoré de Balzac, a Gustave Flaubert, all’immenso Émile Zola e se questi paragoni sembrano azzardati, non deve apparire un’esagerazione evocare Giovanni Verga o Luigi Capuana o il concittadino Emanuele Navarro della Miraglia. I nomi altisonanti che leggiamo in altre pagine dell’autobiografia randazziana, nel brano sull’aia, sono tradotti in “proprietari terrieri”, “campieri”, “gabelloti”, “mezzadri”, “coltivatori diretti” che alle due del mattino andavano a contattare i “mietitori”. Sotto l’orologio accanto alla ex Chiesa di San Sebastiano di Sambuca, di “falciatori” “ce ne erano numerosi ad attendere di guadagnarsi un tozzo di pane … ”.  Da una parte, c’era chi reclutava e dall’altra, chi attendeva di essere reclutato. I Randazzo erano coltivatori diretti, erano dunque, proprietari terrieri. Non di feudi, ma pur sempre proprietari. Lo Scrittore che, come la sua Famiglia, non apparteneva alla categoria dei “negrieri”, ci dice non solo che i falciatori attendevano per guadagnarsi “un tozzo di pane”, aggiunge che “il prezzo della giornata lo facevano sempre i padroni”. In queste poche righe, viene fuori il Randazzo figlio di sindacalista, figlio di chi era costretto a perdere una giornata di lavoro per accompagnare qualcuno ad Agrigento per una pratica, magari per un contributo. Senza voler forzare, in queste righe, viene fuori l’animo popolare dello Scrittore che ritroveremo ancora in altri passi del libro. Nelle pagine sull’aia, la descrizione dei movimenti sia delle bestie da soma sia dei mietitori è minuziosa: “Mietere all’antu (“Con la parola antu si indica in Sicilia la ‘linea lungo la quale è disposto un gruppo di contadini intenti a zappare o a mietere’ e, più in generale, il ‘posto in cui i contadini lavorano insieme’”) era abbastanza pesante. Si stava chinati roteando sulla vita per dodici, quattordici ore…”.

Subentra l’elemento climatico: il sole di giugno. L’arsura. La sete. Al giovane Enzo, era affidato “il compito di dissetare i mietitori che lavoravano come asini”. Le nuove generazioni non sottovalutino la comparazione: “lavoravano come asini”. La fatica, il clima caldo, l’ombra sotto un “pioppo o un mandorlo” per consumare la prima colazione di cui lo Scrittore ci dà ampia spiegazione. Successivamente c’è tutto il lessico relativo all’aia. Senza voler rincorrere un’attenta analisi testuale, si può affermare che il brano sulla mietitura del grano, che per molti versi rimanda al “ciclo del pane” di Gianbecchina, sia da includere in un’antologia. In un mondo in cui tutto è finalizzato al denaro, non ci impedisce di proporre una rappresentazione dell’aia del Randazzo, in un cartellone estivo che includa la raccolta del grano, dell’uva e delle olive: i tre principali prodotti dell’area belicina. Non mancano i luoghi per dette rappresentazioni.

In “Scrivere mi è sempre piaciuto”, ritroviamo valori come la solidarietà, l’amicizia, ma anche l’amore per la famiglia che lo Scrittore vuole attorno a sé non soltanto durante le feste comandate, ma sempre: durante i viaggi o nel gioco con i cinque Nipotini. Uno Scrittore che, nel nome del figlio Nicolò, e in generale del resto della famiglia, rinuncia, nonostante avesse già accettato la nomina, a una cattedra di italiano in Belgio (il suo sogno sarebbe stato Parigi). Cento euro in più, non bastavano al figlioletto Nicolò. Il ragazzo voleva accanto a sé il Papà il quale non si è piegato al suo “egoismo”, e nonostante abbia messo in difficoltà il Liceo in cui era titolare (avevano già nominato la supplente) e la provvisoria scuola a Bruxelles, ha rinunciato. Non è un gesto comune. Non è un gesto epico da incidere sui marmi, ma è un valore supremo. Quante famiglie si sono distrutte nel nome delle ambizioni, delle carriere o dei piccoli egoismi? Enzo Randazzo, la cui grandeur non può essere sintetizzata da me, è in questa “autobiografia”. Al lettore non si può negare il diritto di leggerla, si può, semmai, invitare a leggerla attentamente senza inforcare gli occhiali della superficialità. Uno scrittore merita rispetto.

Quando si parla di un libro che si è realmente letto e non sfogliato e quando non ci si lascia scoraggiare per la voluminosità di 289 pagine, bisogna evitare di riassumere. Bisogna soprattutto, come dice lo stesso Scrittore, evitare di parlare narcisisticamente di se stessi.

C’è un passo molto lungo in cui il Randazzo offre al lettore e alla lettrice la sua essenza interiore. Una sorta di “Confessione di una maschera”, da non intendere alla Yuko Mishima. Nella terra di Pirandello, penso che noi agrigentini siamo i primi ad indossare le maschere. Bisogna distinguere maschere da maschere. Le maschere dell’ipocrisia dalle maschere dei propri sentimenti. Questi ultimi non sempre si portano in piazza. Non sempre si ostentano nelle proprie opere. A volte, i sentimenti si tengono celati per trasmettere la cosiddetta “solarità” agli altri. La lettura che oggi fa più audience è quella scandalistica, quella di facile consumo. I media prima (ma anche oggi) e i social dopo stanno uccidendo la lettura e con essa i valori della vita. Gli stessi valori che il Randazzo ci canta, in “Scrivere mi è sempre piaciuto” dove non c’è soltanto prosa, ma c’è anche lirismo:un canto che parte dall’animo: “Da quando mi hanno diagnosticato … la mia vita è cambiata. Come se l’inevitabile appuntamento con la morte fosse scritto su agenda con un inchiostro illeggibile ai miei occhi… Guardo ogni incendio del sole ad ogni maestoso tramonto come se fosse l’ultimo… Colgo le sfumature dei colori delle colline siciliane, le tonalità della vegetazione, il profumo aspro dei fermenti dei mosti dei verdelli nelle botti di castagno. Anche il canto delle cicale, nel caldo asfissiante agostano, che mi era un festoso frinire, ha il ritmo incalzante della fine…”.

“Riesco ancora a scherzare e a sorridere. Simulo bene… Molte delle persone che mi circondano non sanno di questo mio dramma interiore… continuano a trattarmi come il solido muro cui sono abituati ad appoggiarsi o il carrubo sotto cui ripararsi…”.

“Tutto sommato mi piace che sia così”.

Il carrubo è un albero secolare e ha radici profonde. È colpito impetuosamente dai raggi del sole, eppure dona una frescura pari a un’oasi in un deserto. Il Randazzo è “carrubo”; ciò non significa che quanti lo circondino, debbano trasformarsi in agenti patogeni.

Mettiamo da parte i pietismi, semmai, facciamo nostri i valori espressi nei suoi libri. Rileggiamo l’incendio nella “paglialora” dello Zio in Via Giardino a Sambuca. Letto con superficialità, è un episodio marginale. È proprio in questo episodio che viene descritta la solidarietà di un quartiere che, di fronte al fuoco apocalittico, non se ne sta a guardare, ma improvvisa una lunga catena umana con secchi d’acqua per spegnere l’incendio. Oggi, che siamo caduti in miseria, ci saremmo limitati a filmare l’episodio.

E quando i ragazzacci prendevano a sassate Pitrinu, solo perché considerato pazzo, o deridevano ‘Mbriali o facevano altri atti di bullismo, il Poeta che covava dentro lui, si dissociava: “Tutte le volte che ho provato ad oppormi, i capibanda, per giustificare il loro gioco pesante, dicevano che ai succubi piaceva il loro ruolo, mi mandavano a quel paese e mi minacciavano di farmi nero”. Il bullismo, ieri come oggi. Anche se “oggi tutto sembra cambiato. Le discriminazioni, le ingiurie, le violenze, le emarginazioni verso i più deboli non sono più tollerate. Ma è proprio vero o rimane un pio desiderio?” – Si chiede lo Scrittore. Segue una pagina di condanna al ruolo dei “social”, alla quale non ci si può non associare. Torna l’autobiografia, in cui lo Scrittore si fa Docente e poi Dirigente Scolastico. Alla base dell’essere docente o dirigente, conferenziere, politico, saggista o commediante, c’è sempre quella umanità, quel “miele” frutto di tante solide letture ed esperienze.  L’umanesimo che lo Scrittore ha attinto da altri scrittori, ma anche da uomini che hanno fatto la storia: Giuseppe Mazzini, John Kennedy, Aldo Moro e tanti altri. Personalmente, mi basta solo quello di Martin Luther King.

Il Randazzo è un politico. Non si può ignorare il suo attivismo nella corrente Forze Nuove della Democrazia Cristiana. Le conoscenze anche ad alti livelli. Gli intrighi della vecchia DC. Mi compiaccio, però, quando parla del Cavaliere Gasperino Valenti, ex Sindaco di Santa Margherita di Belice o di altri personaggi, a me cari, come il Dott. Vito Gandolfo. Preferisco di più il Randazzo vicino a Leonardo Sciascia e ai Radicali di Pannella. Ancor di più preferisco il “Manifesto Culturale” lanciato dal salotto letterario virtuale “Chez moi” creato sotto la pandemia e che ha visto l’adesione di decine di personaggi illustri:

“Privilegiamo l’amore per la libertà, la letteratura, l’arte, l’amicizia e la fratellanza. L’amore per l’universo, la solidarietà sociale e i sentimenti ispirano la nostra poetica.

Desideriamo osannare bellezze naturali e scelte umane ecosostenibili…”.

Il “Manifesto” è più lungo ed è tutto condivisibile e, senza apparire presuntuoso, penso che tutte le persone di buona volontà possano sottoscriverlo. Personalmente sono convinto che bisogna riproporlo affinché la cosiddetta “Società civile” possa ripartire da questi presupposti.

E personalmente penso che sia arrivato il momento di concludere rimandando alla lettura di questo interessante libro. Autobiografia o romanzo? – Si chiede Gisella Mondino! “Nessuno dei due”!

Un libro va letto e non riportato e soprattutto non travisato. Attraverso le pagine di “Scrivere mi è sempre piaciuto”, sono stato trasportato in un mondo conosciuto del passato, ma anche dentro l’affascinante viaggio della letteratura: scoprire gli epitaffi di “Spoon River” di Edgar Lee Masters. Trovarmi, mio malgrado, a Budapest e riviverla come, nei miei due viaggi, non avevo visto e così dicasi del Lago di Balaton. Rileggere e ritrovarmi a Praga, Londra, Parigi, l’Alsazia-Lorena ed altri luoghi europei. Il Randazzo, inoltre, mi ha fatto viaggiare in Tunisia dove non ho mai messo piede o in Bulgaria, ma anche in quel grande teatro greco di Epidauro dove lui ci fa sognare quando volle sperimentare l’acustica e dopo avere invitato la sua Famiglia a sedere nella fila più alta, iniziò a recitare “A Zacinto” di Ugo Foscolo. Lusingato dagli applausi di un gruppo di turisti tedeschi, proseguì con “L’infinito” di Leopardi. E man mano che arrivavano altri turisti, il Nostro, si era lasciato andare con il “Carpe diem” di Orazio e, a furore di popolo, gli fu chiesto Dante. Concluse con alcuni versi tratti dalle Coefere di Eschilo. Fu un tripudio. Enzo Randazzo è anche “comédien” e, come tale, oltre a regalarci la frescura del “carrubo”, da Poeta e da Scrittore, deve farci sognare. È questo il suo compito. Non ha altre vie di scampo: “Amare significa vivere la felicità degli altri”. 

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