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Shale gas, aperture e timori

Shale gas, aperture e timori
Settembre 27
09:46 2013

Sito di estrazione del gas in PennsylvaniaAd inizio agosto, nel West Sussex in Regno Unito, sono iniziati, tra le proteste, i lavori per dar vita ad un nuovo impianto estrattivo di shale gas, gas naturale imprigionato all’interno di strati di roccia scistosa. A differenza dei normali giacimenti di gas, quelli contenenti gas di scisto comportano l’utilizzo di tecniche estrattive più complesse che prevedono il pompaggio di acqua ad alte pressioni e a chilometri di profondità, insieme a numerosi agenti inquinanti, al fine di incrementare la permeabilità degli strati argillosi e la produttività del sito, tecnica nota come fracking.

L’utilizzo massiccio di questa risorsa ha avuto inizio negli Stati Uniti, nell’ultimo decennio, dove ha segnato la più decisa svolta nella politica energetica degli ultimi anni. In Gasland (2010), il regista americano Josh Fox ha documentato, in un viaggio attraverso le località di estrazione di shale gas in Wyoming, Pennsylvania, Colorado e Texas, i rischi e le conseguenze del fracking, tra i quali la possibilità di ritrovarsi con dell’acqua ‘incendiaria’ che esce dal rubinetto o con interi allevamenti seriamente minacciati dalla contaminazione delle falde, senza parlare delle ripercussioni sulla salute di chi quell’acqua l’ha bevuta senza sapere. Gli agenti chimici, in percentuale minima all’interno del fluido (circa lo 0.5%), vengono iniettati nell’ordine delle 80-140 tonnellate per fratturazione e restano in percentuale variabile nel sottosuolo: la loro pericolosità per la salute umana è stata messa in luce dalla stessa EPA, l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente statunitense. Altra conseguenza è l’inquinamento atmosferico dovuto al gas flaring che si rende necessario, in assenza di oleodotti, in corrispondenza dell’eccessiva risalita di gas, e all’ingente numero di camion necessaria al funzionamento di un pozzo (tutto, acqua compresa, viene trasportato su gomma). A rendere possibile tutto ciò l’emendamento del 2005, emanato sotto la presidenza Bush, al Safe Drinking Water Act del 1974, che esclude le operazioni di idrofratturazione volte all’estrazione di idrocarburi dalla dicitura di underground injections, rendendo decisamente meno restrittive le condizioni per tale operazione. Lo sfruttamento di questo tipo di giacimenti è stato preso seriamente in considerazione da quando le quotazioni del petrolio sono aumentate fino a stabilizzarsi sugli attuali 100 dollari al barile. Quella che prima era una risorsa priva di vantaggi economici per le compagnie, dato l’alto costo delle ricerche e dell’estrazione, è diventata uno dei principali interessi delle stesse. Le stime della EIA (agenzia statunitense del Dipartimento dell’Energia) sulle riserve mondiali di gas di scisto vedono gli USA al secondo posto dopo la Cina. La produzione negli Stati Uniti è giunta a soddisfare l’attuale 23% del fabbisogno di gas del Paese, ha fatto calare il costo dell’energia di due terzi e quello del gas fino a un quarto di quello europeo: da importatori di gas gli USA si preparano a diventarne esportatori e a raggiungere l’indipendenza energetica. In Europa la questione shale gas ha provocato reazioni diverse: se l’Inghilterra si è aperta allo sfruttamento concedendo poderosi sgravi fiscali alle compagnie, la Francia, con una moratoria, ha messo al bando il fracking a causa dei rischi ambientali, mentre la Germania ha optato per un approccio decisamente cauto. A maggio il commissario europeo per l’azione per il clima Connie Hedegaard ha messo in luce l’impossibilità di una ‘rivoluzione dello shale gas‘ in stile USA, data la geografia e la differente conformazione geologica europea che non permetterebbe ai prezzi di raggiungere i livelli americani. I risultati della consultazione pubblica bandita dalla Commissione Europea (che ha però coinvolto solo 22875 persone) e conclusasi a marzo mostrano, a tutt’oggi, una perplessità diffusa.

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