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“Sono tornato”…quando c’era lui…

“Sono tornato”…quando c’era lui…
Febbraio 03
12:49 2018

Sono tornato, Il piacevole film di Luca Miniero non ha per protagonista, come vorrebbe sembrare, il ritorno di Benito Mussolini, seppure magico (appare dal nulla presso la Porta Alchemica di Villa Palombara, oggi posizionata a Piazza Vittorio), interpretato dal bravissimo Massimo Popolizio, ma mette al centro della scena quello che siamo diventati, nel bene e nel male: italiani, prima indagati dall’occhio d’un uomo nato 135 anni fa, poi indagati nell’idea che del fascismo se ne sono fatti quelli che non hanno mai conosciuto la dittatura, quindi la maggior parte della popolazione italiana compresi i neofascisti, poi il ‘lancio’ del personaggio nella società democratica e liquida che viviamo.

Mussolini vive e stra-vive del suo personaggio e la storia lo inquadra prima per quello che è: un uomo di cultura ottocentesca, un capo innato, un decisionista, uno che non scambia una parola per un’altra e sa usare i congiuntivi. La società che ha davanti è confusa ai suoi occhi: si ritrova catapultato nel 2017, ma pur non essendo una cima, questo il commento di chi lo incontra per la prima volta, capisce con facilità che alcuni dei suoi peggiori incubi si sono materializzati: vedendo in giro per le strade molta gente di colore conclude da par suo che l’Africa ci ha invaso; gli omosessuali hanno vinto (ad una malcapitata coppia di edicolanti dichiara «io gli invertiti li spedivo al confino») e un partigiano è diventato Presidente della Repubblica. Questo lo apprende dalla canzone L’Italiano di Toto Cutugno, che seppure alle sue orecchie presenta un testo fantascientifico, gli appare subito l’inno ideale per la nuova campagna imperiale che intende condurre attraverso quel potente mezzo che gli appare da subito la televisione e i pochi mezzi dell’aspirante regista Andrea Canaletti (il simpatico Frank Matano).

Il redivivo è creduto un comico piuttosto bizzarro che non esce mai, nemmeno la notte, dal suo personaggio e perciò diventa conteso da tutti i talk show e strumento di ogni competizione all’ultimo sangue tra anchormen e anchorwomen. Nessuno, un po’ nell’incredulità, un po’ nell’esercizio d’un senso di superiorità oggi diffuso tra i fruitori di social media (probabilmente e genericamente uno degli abbagli più grossi del secolo constatato l’impietoso analfabetismo di ritorno e l’incapacità di trattenere se non per pochi minuti qualsiasi tipo di nozione), ascolta i suoi discorsi deliranti seppure il personaggio non abbandoni mai per un attimo le proprie posizioni, ma lo scandalo arriva quando viene diffuso un filmato nel quale il duce, infastidito da un simpatico e nervoso jack russell, se lo leva dagli stinchi, letteralmente, sparandogli a freddo. Il filmato lo ha raccolto l’aspirante regista Canaletti durante un gustoso viaggio del duce redivivo, che dovrebbe diventare documentario, in alcuni ‘italici luoghi’: Roma, mercati toscani, mercati siciliani, campagne fra Sabaudia e Latina dove, in un giro fra l’immaginario e il reale (vi compaiono attori, ma passano anche le riprese di alcune interviste a gente comune), gli italiani intervistati dichiarano il loro benvenuto a una nuova dittatura «ma una dittatura libera, però» (??) e le loro ‘soluzioni finali’ tipo, fra le altre amenità, che agli immigrati, per non farli arrivare sul territorio, bisognerebbe sparargli in mezzo al mare compresi donne e bambini. Mentre ogni dichiarazione passa per l’impietosità più assoluta nel tentativo, secondo gli intervistati, di evitare la bancarotta per se stessi e i propri cari, l’uccisione del cane viene condannata all’unanimità da tutto il popolo televisivo e il nuovo comico giudicato un mostro senza appello. La telecamera ha fatto il suo lavoro: inquadrato il ‘ritorno’ e belle faccette giovanili che dichiarano di non aver mai letto un libro e di infischiarsene della politica (non dei partiti, ma della politica), il mezzo di ripresa si è girato di trecentosessanta gradi portando così alla ribalta non solo la vita più o meno libera in tempo di pace, più o meno piacevole e incasinata, ma anche il rovescio della medaglia fatto di ignoranza, mancanza di senso civico, accettazione quasi totale della manipolazione da parte dei mezzi di informazione, ingiustificato senso di superiorità nei confronti di culture diverse, conformismo ai massimi livelli.

Di Mussolini duce in quanto tale e del pericolo che può rappresentare il suo ritorno, anche sotto le mentite spoglie di altri uomini resisi pubblici non attraverso le loro imprese o capacità ma solo attraverso i soldi, se ne accorge soltanto un’autrice televisiva che si rifiuta di far parte di una redazione di ‘sissignore’ messi in fila dal potere di turno e un’anziana ebrea affetta da alzheimer la quale riconoscerà gli occhi che si ritrova davanti come quelli del vero Mussolini, e racconterà i suoi giorni dell’orrore scampata alla morte perché nascosta sotto un mucchio di cadaveri in putrefazione. Intorno a questi personaggi il solito carnevale di travestimenti all’ultima moda, ambizioni, dichiarazioni, smentite e ‘tirare a campare’.

L’attore, riconosciuto per strada come duce, riceve attestazioni di stima e affetto, qualche faccia sorpresa, qualche pugno chiuso… Film già criticato per tutto quello che avrebbe potuto dire e non ha detto. Lo si può apprezzare molto se del lavoro di Miniero e Guaglianone (alla sceneggiatura) si apprezza il senso più pervasivo: il reale pericolo d’un ritorno alla dittatura siamo noi stessi a rappresentarlo, quando non abbiamo né elementi per riconoscere cos’è umano e cosa non lo è, né parole per dirlo. Visto che Mussolini è morto, ormai, da più di settant’anni. (Serena Grizi)

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