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Stoicismo ed epicureismo: contatti e divergenze – 1

Stoicismo ed epicureismo: contatti e divergenze – 1
Dicembre 10
02:00 2006

CiceroneQuesto articolo si propone di chiarire i principali punti di contatto tra le due grandi scuole dell’ellenismo, lo stoicismo e l’epicureismo, spesso trascurati o comunque poco indagati a vantaggio di una tradizione che, non senza estremismi e forzature, ha messo in risalto unicamente gli aspetti di distinzione , se non di radicale opposizione tra le due correnti filosofiche.

Il peso della tradizione
Una tradizione ormai obsoleta, tramandata non tanto dagli antichi manuali di storia della filosofia, quanto soprattutto dall’uso comune affidato al messaggio dei mass-media , ha finito per consolidare la credenza circa una netta contrapposizione tra le due grandi filosofie dell’ellenismo: stoicismo ed epicureismo.
Sottolineo il termine ‘credenza’, per riferirmi a ciò che è e rimane soltanto una pura convinzione socialmente condivisa, ma non derivante da fatti oggettivamente valutabili. Proprio sulla base di questa credenza si è voluto identificare il termine stoicismo con il modello di una vita ritirata e solitaria, all’insegna del più inflessibile rigorismo morale, qual è quella del savio; al contrario, l’epicureismo, è stato riferito ad un ‘modus vitae’ condotto secondo la ricerca sfrenata e mai appagata del piacere immediato, qual è quello dello stolto. Premesso questo, non intendo certamente asserire l’uguaglianza tra stoicismo ed epicureismo, ma soltanto che non si riscontra tra le due scuole quella ‘rigida dicotomia’ che comunemente si crede. Infatti, pur presentando evidenti aspetti di distinzione, rintracciabili soprattutto nella diversa concezione della ‘virtus’ o sommo bene, le due dottrine appaiono concordi nel prospettare un identico ideale di perfezione morale, esemplificabile nella figura del sapiente, modello di imperturbabilità e distacco dalle vicende della vita quotidiana. Elementi di divergenza si riscontrano, pertanto, esclusivamente nelle modalità di comportamento attraverso cui è possibile raggiungere tale ideale, fermo restando il fatto che entrambe le scuole ritengono che soltanto ai filosofi, ‘intellighenzia’ del tempo, è consentito pervenirvi. A questo punto mi pare opportuno soffermarmi brevemente sui capisaldi dei sistemi stoico ed epicureo, con particolare riferimento alla morale.

La dottrina stoica
Principio guida della morale stoica è la ragione, quale realizzazione del sommo bene con cui si identifica, secondo l’equazione ‘virtus’ = ordine razionale delle cose. Tale concezione appare indissolubilmente legata alla teoria della fisica aristotelica (la fisica ufficiale del tempo), a cui lo stoicismo aderisce pedissequamente. La cosmologia aristotelica è molto complessa; Aristotele, come gli stoici, crede fermamente nella concezione di un universo chiuso, finito e ordinato, in cui ogni cosa occupa un determinato luogo, l’unico che gli compete. In tal senso l’universo è un vero e proprio cosmo, ossia un sistema ordinato (κόσμος = ordine). L’ordine dell’universo deriva dalla ragione (λόγος), in altri termini da Dio, principio razionale che permea di sé tutto ciò che esiste (panteismo stoico). In questo contesto, al saggio stoico non rimane altro compito che seguire l’ordine razionale delle cose: questo è il suo dovere, questa la sua missione nel mondo. Uniformando la sua condotta alla ragione, egli riuscirà a pervenire ad uno stato di vera e propria beatitudine, attraverso il conseguimento di tre mete ideali: l’assenza di emozioni (α’πάθεια), l’imperturbabilità (α’ταραξία) e l’assenza di sofferenze (α’πονία). Per quanto riguarda le emozioni, l’etica stoica non gli riconosce alcun valore, anzi le disprezza, giudicandole a volte come pensieri erronei, fenomeni di ignoranza, altre volte, più genericamente, come vere e proprie malattie, che colpiscono lo stolto, ma risparmiano il sapiente. Tale concezione risulta essere, ancora una volta, connessa all’idea di un cosmo come totalità perfettamente razionale e ordinata, in cui timore, speranza, affetto e tutti gli altri stati emozionali dell’individuo sono assolutamente privi di senso, poiché non hanno ragione d’essere. In tal modo, lo stoicismo approda ad un ideale di ‘homo sapiens’ , il cui animo riesce a conservarsi sempre immune dagli affanni e dai turbamenti che affliggono l’uomo comune. In particolare, mediante l’utilizzo delle facoltà razionali, egli è in grado di discernere tra il bene e il male, ovvero tra ciò che la ragione gli suggerisce di compiere e ciò che gli vieta. Si è detto che la virtù rappresenta per gli stoici l’unico bene; essa può assumere nomi diversi a seconda del dominio al quale si riferisce, ma in realtà è una sola e appartiene esclusivamente al sapiente. Tra virtù e vizio, pertanto, non c’è una via di mezzo; l’uomo infatti o è giusto o è ingiusto, o è saggio e agisce in modo virtuoso, o è stolto e agisce in modo vizioso. In questa prospettiva, la dottrina stoica si configura come un’autentica etica del dovere, inteso come conformità o convenienza dell’azione umana alla legge della ragione. Tale legge, universale ed eterna, governa tanto la natura quanto la comunità umana, e quindi l’uomo che ad essa si conforma non appartiene a nessuna città o nazione: è cittadino del mondo (cosmopolitismo stoico). (Continua)

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