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Torre Nova: l’antica malta scalfita dal tempo

Torre Nova: l’antica malta scalfita dal tempo
Ottobre 11
23:00 2009

Torre-Nova-dei-CenciMentre la città si riempie inesorabilmente di cantieri, mentre nuove, inquietanti futuristiche costruzioni trasluccicanti fanno scempio della mirabile campagna romana, la stessa che fino a qualche anno fa era la meravigliosa cornice ed appendice della dolce vita, che era dolce anche per la trasparente pulizia dell’aria e la genuinità del cibo di corta filiera, prelevato direttamente dai campi in fiore, oggi che camion e trasporti pesanti gonfiano l’atmosfera di polveri e fumi tossici, nel frastuono di ruspe, escavatori e martelli pneumatici , lì, dove la futura generazione di Roma ha trovato e troverà gelide ed asettiche residenze, che radono al suolo la storia e la memoria, lì, in questi non-luoghi, resiste ancora malinconicamente la bellezza, straziata, deturpata, avvilita dal moderno, ma pur sempre in piedi, attraversata dal sole, dal vento, dalle intemperie delle stagioni. Siamo in Via Casilina, ai confini tra Torre Angela e Tor Vergata, di fronte ai neo cantieri per la costruzione della linea C del Metrò, stazione di Torre Nova, eccoci apparire una castelluccia del ‘500, con tanto di torre, corte, patio, giardini, vasche per l’acqua piovana, rimesse per le carrozze, antichi magazzini del grano, una splendida chiesetta con annessa una piccola sagrestia.
Dal civico n. 1390 al 1382 di Via Giuseppe Macchi, neo-strada tracciata sulle ceneri di quello che sino agli inizi del ‘900 era l’antico muro di cinta, tra la polvere, i rifiuti, i vetri di bottiglia frantumati, ecco la Turris Novae, dal cui nome è stata ribattezzata tutta la zona, quella Torre Nova dal destino così travagliato. Costruita per conto della famiglia Cenci, intorno al 1500, e battezzata nova per via della presenza di un’altra torre nelle immediate adiacenze, caduta per scosse telluriche, che quindi sostituì; passata in proprietà allo Stato Pontificio un secolo dopo, per via dello storico episodio che volle Beatrice Cenci, figlia del nobile Francesco, accusata, giudicata, e quindi giustiziata con la decapitazione in Castel S.Angelo, per l’assassinio del padre, di cui era vittima di continue violenze sessuali; il maniero confiscato dei Cenci, dopo la costruzione d’una chiesa per volere dell’allora Papa Clemente VIII°, a cui la stessa è intitolata, fu accorpato nei beni della famiglia Aldobrandini, vicina allo stesso Papa, sino all’800, quando, per via di matrimoni tra famiglie e connubi di sangue, la proprietà si trasferì alla famiglia Borghese, che la detenne fino ai primi anni del ‘900 come residenza di campagna e maniero di caccia. Destino non meno straziante possiede oggi la castelluccia, nel suo resistere al tempo, nel degrado e nell’indifferenza di tutti.
Durante la mia visita al sito, incontro per caso il gentile signor Virgilio Cecinelli, abitante dei dintorni, intento a passeggiare nei pressi con lo sguardo assente. Lo fermo, gli chiedo qualcosa in più del maniero, del perché sia in queste condizioni. Mi scruta, interrogandosi, poi parla: “Qui ci abitano solo extracomunitari, e girano droga e prostituzione a tutte le ore del giorno. Vede il patio e tutta quella colonna di appartamenti…bene, gli eredi degli antichi proprietari hanno venduto quasi tutto lo stabile alla Circoscrizione di Torre Angela, che oggi affitta a poco gli appartamenti ricavati”.
Noto alcuni cartelli di “vendesi cantine”, in alcuni civici dello stabile, insieme alla presenza di un bar nelle mura, frequentato solo da stranieri, e chiedo al mio gentile avventore come sia possibile questo, in un sito di così rilevante interesse storico-archeologico. “Pur essendo in parte di proprietà comunale, qui la sovrintentenza non c’è mai venuta. Gli eredi continuano a vendere ciò che resta dei locali fatiscenti, e il comune non ha posto nessun tipo di vincolo a tutto questo. Vede, nei locali interni c’è un laboratorio d’arte, una segheria, e poi quel bar dove gira tanta delinquenza. Li vedo io come passano con le macchine, si appostano, e vendono droga. Qua dentro bisognerebbe aggiustare tutto, questo luogo non merita quest’abbandono, lei non sa gli affreschi ed i soffitti merlati che quelle stanze possiedono, per non parlare della chiesa, sta cadendo tutto, tutto, ed intanto noi che ci possiamo fare, se le cose vanno così?” Parla a voce bassa il signor Virgilio, come per paura di essere ascoltato, lo vedo un pò in imbarazzo, mi congedo, lo lascio andare, sembra avere fretta. Mi saluta con cordialità e va via. In effetti, come quest’uomo diceva, le condizioni della residenza di Beatrice Cenci sono drammatiche.
Faccio un giro intorno alle mura smangiate, piante infestanti invadono tutti i cortili, ogni angolo è un ricettacolo di spazzatura, i magazzini e le rimesse adiacenti sono occupate abusivamente da sprovveduti e senza tetto, panni sono stesi al sole su corde di spago, vasche da bagno in disuso funzionano da serbatoi per la raccolta dell’acqua.
Così anche la chiesa, dal portone e dalle finestre semisfondate, giace sommersa tra gli alti sambuchi ed i calcinacci, lì dove si celebravano sontuose cerimonie e feste estive, oggi passeggiano indisturbati i merli beccando i mille rifiuti disseminati.
Un altro bar nelle vicinanze, l’ennesimo, intitolato alla Torre, con tanto di disegni ed illustrazioni. Entro per rinfrescarmi, sui muri tante foto d’epoca che ritraggono la costruzione. Immersa nella campagna d’un tempo, solinga, senza l’ombra d’una casa nei paraggi, in quel sole in bianco e nero, mute di cani solcavano il terreno, mentre uomini a cavallo con i fucili imbracciati andavano incontro al sorriso del giorno. Epoche, tempi diversi. Il barista curioso mi chiede se mi piacciano queste immagini, poi spadella fuori tutta la sua erudizione storica sull’argomento. Ascoltandolo, chiedo anche a lui perché fino ad oggi non sia stato eseguito alcun tipo di intervento di salvaguardia su questo incredibile bene. Mi dice che si vociferava fino a qualche tempo fa, di un interessamento dell’Università di Tor Vergata alla ristrutturazione della chiesa, in sinergia con Comune e Provincia, ma ancora non se ne sa niente.
“Speriamo che lo facciano al più presto, prima che cada tutto…” , scherza.
Mi incammino, prendo la via di casa, non senza amarezza. Un grande bene storico della città, sta marcendo sotto gli occhi di tutti, mentre solo a pochi metri di distanza si erge quella che chiamiamo la modernità. Richiederebbe interventi immediati di ripristino, e vincoli paesaggistisci, ambientali ed architettonici, eppure, mentre crollano stabili, si ricostruiscono di continuo facciate, mentre si sbriciolano intonaci che danno pane a tante nuove leve dell’edilizia, la Torre Nova è sempre là, rivestita nella sua antica malta scalfita, a resistere al tempo ed alle civiltà.

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