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Una vittima chiamata uomo

Novembre 10
02:00 2006

Ciò che la cultura occidentale eredita dall’esperienza greca è un altalenante senso religioso, distribuito in forme cultuali e favorito da esperienze instabili dietro più punti di vista. L’uomo greco di Omero non può vantare la stessa disposizione al logos che rivendica agevolmente un personaggio dell’epoca socratica. La conquista della ragione segna un allontanamento progressivo dalla sfera religiosa, allontanamento che si lascia cogliere oltre una semplice dimenticanza delle forme di devozione tradizionale. Gli dei continuano ad esistere anche nel mondo filosofico (il demone socratico ne è forse il più noto esempio), pur mutando il loro rapporto con gli umani. Per ben comprendere questa derivazione è utile ricordare quale rapporto legasse gli uomini al tempo di Omero tanto alle loro attività quanto alla personalità degli dei venerati. Gli dei hanno generalmente scarso rispetto per gli uomini visti come scomodi usurpatori. Pervadono il mondo, lo penetrano nella forma di infatuazione (ate), annebbiamento che testimonia il loro sottile inserimento nella temporalità. L’intrusione nello scenario umano ripropone la questione della responsabilità rilanciata come necessaria o libera: l’uomo che non sceglie di essere conquistato dall’ate non risolve il dilemma perché come greco dell’età omerica manca delle strutture concettuali idonee alla presa della distinzione. Si limita pertanto a distinguere azioni compiute in stato di ate e azioni volontarie. Il greco organizza una letteratura capace di mantenere troppo spesso l’interferenza del sovrannaturale nella condotta umana. Nonostante questa diffusa concezione, un luogo omerico in particolare pronuncia dissonante: ‘L’uomo incolperà – disse Giove – sempre gli Dei? Quando fabbrica i mali per sé, li attribuisce a noi e la sua stoltezza chiama destino’ (Odissea, c. I, 45).
L’epica greca non avvista ancora quell’indipendenza sul piano morale, presto rivendicata secondo giustizia: gli dei dell’Iliade sono anzitutto preoccupati del loro onore. L’età arcaica vede, invece, un progressivo consolidamento della colpa individuale. L’assorbimento della virtù all’interno della giustizia divina e la sua conseguente scomparsa non riguardano Omero, dove la contaminazione ereditaria lascia spazio all’arbitrio degli dei nel condizionamento delle azioni. L’interiorizzazione della colpa darà vita al peccato cristiano.
Ci si attende dal V secolo una compattezza razionale che trova in esponenti come Senofane ed Eraclito vette altissime: discutibile considerando la loro intima religiosità, questa propensione ad una forma rinnovata di razionalismo merita approfondimenti in ogni direzione: come si spiega, ad esempio, la persistente devozione religiosa di Senofane? È indubitabile che i padri del razionalismo abbiano rinnovato più che rimosso antiche credenze. Ormai sterile, la radice del razionalismo sofistico avrebbe dotato l’individuo di una sicurezza tale da garantire il disprezzo più che la maturazione intellettuale.
Nell’elaborata eterogeneità degli scritti platonici, ritrovare una nervatura di sostegno significa spesso sminuire la portata complessiva di progetti molto sofisticati. Platone resta un figlio del razionalismo. La trasformazione dell’ate in passioni offre al greco la possibilità di un distacco, condotto attraverso l’evacuazione di uno spazio precedentemente assegnato dal divino e pertanto limitante, nel quale tuttavia un ordine invisibile continua a gestire rapporti e dipendenze. Platone desidera risolvere il suo razionalismo tanto nell’identità socratica di virtù e conoscenza, quanto nel senso di colpa individuale (interamente dell’individuo e causato dalle sue passioni) risanabile attraverso l’elevazione dell’anima. L’individuo deve confrontarsi con se stesso e l’anima resta una valida offerta di giudizio. Le vittorie dell’anima sul corpo contenute nel Fedone non rimangono tali se si riprendono gli accenti compromettenti delle passioni e dei sentimenti (Fed. 21 DE). Il sentimento non rinuncia a possederci: risolvere il conflitto che lega anima e corpo può aiutare a superare l’ipotetica rinuncia. Il platonismo agisce in questa direzione.

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