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Uno strano ricordo

Novembre 14
17:27 2013

Oggi, mia moglie decide di portarmi a far visita ai morti, in occasione del 2 novembre. Obbedisco, a patto che poi si vada a sorbire il caffè al mio bar preferito. Posti i fiori davanti ai volti amati dei nostri famigliari, usciamo nel viale bellissimo del cimitero antico di Albano, al sole umido che fa sudare, quando Rosa mi fa, bloccando il passo: «Vedi là, non è la foto del tuo amico Osvaldo Sebastiani?» Sì: accanto al padre e alla madre, il primogenito, coi baffi, che non ricordavo portasse quando, adolescenti, e poi giovani attratti dalle serate ai canti bacchici, sovrastava tutti noi con la sua statura. Ci eravamo lasciati in terza media e, a settembre dello stesso anno, da pari che eravamo nell’altezza, gli arrivavo alla spalla, né le differenze si sono più ridotte.

La vita ci ha fatto percorrere altre vie, ma ricordo che un giorno, nella Roma già asfittica degli anni ottanta, ci incontrammo su corsie contrarie, in macchina, e fu un saluto esplosivo, che rivelava come non ci fossimo dimenticati. Amico di scuola alle medie inferiori, ma soprattutto dell’adolescenza. Ebbene, avevamo non più di sedici anni, e recitavamo a vicenda le poesie sia nostre che dei grandi autori ammirati (io, in seguito, ho perduto la mania di imparare a mente le mie cose, usando la memoria per imbottirmi dei capolavori di ogni tempo: so di essere fuori corrente e fuori regola, ma, per usare l’aforisma di Borges, «che altri si vantino delle pagine che hanno scritto. Io sono orgoglioso di quelle che ho letto»). Ebbene, una delle sue liriche riuscii a impararla in breve, e me la tenni dentro con amore, perché mi colpì. Poi non ho più ripensato alle lunghe recite che facevano eco ai nostri passi nei boschi. Oggi, davanti a quella tomba, leggendo la data di morte (2007), e quella di nascita che è del mio stesso anno, è risalita in mente la sua unica poesia (non so se ne abbia scritte altre), e credo sinceramente inedita. Chi ha la fortuna di sopravvivere anche di poco a coloro i quali già sono fra i più, ha il dovere di rimembrare chi non può fare nulla per sé e per gli altri, essendo cenere. E come ricordarti meglio, che pubblicando la tua bella lirica impressa – dopo quasi sessant’anni – nel fondo della mia anima? Gli esperti di metrica si accorgeranno della precisa tecnica (avevamo 16 anni!) da te usata: novenari alternati a settenari e decasillabi ornati di ferecratei.

Nebbie
(di Osvaldo Sebastiani)
Sono giunte le prime nebbie
morbide dell’autunno.
Nessuno le ha udite venire.
Forse il passero inquieto,
forse lo scricciolo irrequieto,
forse l’ultimo uccello
che, volando alle terre assolate,
ha visto dilagare
fra gli stagni e i filari,
come in un sogno pauroso,
un mare soffice e silenzioso
d’ombre pallide e tristi.

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