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Vacanze a Subiaco nei primi anni ’50 – 2

Vacanze a Subiaco nei primi anni ’50 – 2
Aprile 10
18:32 2012

Zia PalmiraVita di campagna

(da Campo di grano – giochi, istruzione, mestieri nella Ciampino del dopoguerra). Nella grande cucina il camino, il lavandino di peperino, il fornello a carbone, la lunga tavola e le sedie impagliate. Posta un gradino più in basso la sala da pranzo, dove però non si pranza mai; odora di grotta, di mele secche, di salsicce e prosciutti. Sopra ci sono le camere da letto con le finestre che guardano il ruscello e il fosso, uno davanti e l’altro dietro casa; la scala di legno scricchiola ogni anno di più. Fuori c’è il chiosco coi rampicanti, il tavolo rotondo di marmo e la panca che vi gira attorno. Più avanti il forno il pollaio la stalla il fienile, e la cantina ricavata nel tufo. Arrivano anche zia e mamma, stanno ancora raccontandosi.

Zia Palmira grida aù e in risposta arriva dalla collina l’aù di zio Benedetto che subito accorre e ci abbraccia, felice: – Cognata mea, bella meluzza de zì Bebetto… Poi tutti a tavola; brodo di gallina con i quadrucci, frittelle di fiori di zucca, prosciutto…- E Ninnacchio? – chiedo allarmata, ma mi dicono che il maialino sta bene e ingrassa a vista d’occhio. Non chiedo altro e mi gusto il prosciutto, il filo di grasso si scioglie in bocca come crema. Nonno Gigi è il padre di zio Benedetto, non è proprio mio nonno, ma lo chiamo nonno lo stesso; i miei non li ho più, nonno Agostino e nonno Giacamuccio li conosco solo per le fotografie che stanno sulle loro tombe, quasi ogni giorno portiamo loro un fiore raccolto per via, il camposanto è di strada quando si va in campagna. Nonno Gigi ha la pelle rosea di un neonato, mangia sale grosso a puiji, lo manda giù con due o tre soreji d’acqua, e si sciacqua la bocca con un bel bicchiere di rosatello. Nonna Maria abita a Piazza Palma, al centro del paese, ma ogni mattina a buonora viene a Riarco per dividere il lavoro con gli altri. Dal guarnello di nonna esce di tutto: mele secche ficorelle nocchie noci, pezzi di pane bianco e di pizza gialla. Nonna odora di anice e di finocchiella selvatica. Appena finito di mangiare corro al fosso e saltellando sulle pietre lucenti, attenta a non scivolare, m’incanto a guardare le pozze nere di girini, la vegetazione aggrovigliata che si arrampica lungo la scarpata, fino alla parete brufolosa della casa. Poi corro al ruscello davanti casa che passa sotto il ponticello, continua il suo cammino e più avanti si unisce agli altri corsi d’acqua. La sera zio suona la fisarmonica e zia Palmira canta le stornellate. Ed io, alla fine del giorno di festosa accoglienza, mi domando e dico che altro ci può essere di meglio al mondo. I miei zii non hanno figli, ma noi nipoti siamo tutti figli loro. Della famiglia fanno parte Frizzetto e Gigetto, cane e gatto, la mucca Stellina, la somara Rosinella e quel certo Ninnacchio che non invecchia mai. Tutti gli animali sono chiamati per nome e trattati con affetto, ma ognuno deve fare il suo dovere.

Dopo cena arriva Adelina con tutta la famiglia, per salutarci. E mentre Antonio detto Pellacchio discorre con nonna Maria detta Peruzza e con nonno Gigi detto Mezzoprete, noi ragazzi ci osserviamo un po’ confusi; non siamo più gli stessi dell’anno scorso, siamo molto cambiati e ci guardiamo con un certo imbarazzo. Domani mamma riparte. Alla stazione dell’autobus zia come sempre le dirà di stare tranquilla e sventolerà il fazzoletto fin quando l’auto sparirà alla prima svolta.

Dopo il giorno di festa si torna alla fatica quotidiana. La vita di campagna m’insegna quanto il contadino sia tenace e abituato al sacrificio. Quando il canto del gallo mi sveglia, scendo in cucina e trovo il latte appena munto a bollire sul fornello a carbone; zia con la punta del cucchiaio trattiene la panna spessa un dito, mentre lo versa nel tazzone dove ha già spezzato il pane. Sapone e asciugamano e scendo a lavarmi al fosso, l’acqua gelata striglia la pelle e la mente. Quando risalgo, il sole spunta dalla collina e rapido dipinge il mondo di rosa. Ramazzo l’aia con la scopa di pungitopo, il mio primo compito e forse l’unico quando si resta a lavorare a Riarco o quando zia fa il pane. Invece, quando si vanno a lavorare i terreni alle Cone o in qualche altro appezzamento, si parte presto col somarello carico. Rosinella si arrampica sui tufi graffiando la roccia ed io dietro attaccata alla sua coda, ma in pianura zia mi issa sul basto. Mi sento allora corsara della montagna in groppa al mio focoso destriero. Il povero animale è tormentato dai tafani, cerca di difendersi in tutti i modi, ma quelli gli vogliono mangiare pure gli occhi, e me ne viene rabbia e pena. Con una frusta di salice imperverso su Rosinella e chissà chi la tormenta di più, se io o i tafani. Arrivati alle Cone saluto il malvone rosa. Lo trovo sempre in fiore e m’immagino che sia fiorito tutto l’anno. Saluto anche i girasoli, che mi ridono in faccia. D’estate in campagna non c’è un attimo di riposo, salvo la domenica (continua).

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